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[Rubrica] Oltre l'illusione della realtà

Ultimo Aggiornamento: 05/06/2013 10:52
21/05/2013 10:48

Riporto per intero l'articolo postato prima da eone.

IL SIGNIFICATO DELL'ESOTERISMO

Articolo di Mauro Colla
Fonte: www.riflessioni.it/lettereonline/esoterismo.htm

Non è facile parlare di questo argomento.
Partiamo dall’etimologia del termine. J.M.Riviere in Storia delle dottrine esoteriche collega l’origine del termine al verbo greco eisoteo, che significa far entrare, quindi “aprire una porta, offrire agli uomini la possibilità di penetrare nell'interiore attraverso l'esteriore; simbolicamente, è rivelare una verità nascosta, un senso occulto." L'esoterismo è "una dottrina segreta, un'iniziazione, una spiegazione del mondo rivelata in un consesso scelto, isolato dall'esterno e dalla moltitudine e spesso tramandata in forma orale".
Altre fonti individuano la radice del termine nell’aggettivo greco esoterikòs che significa “interno, segreto”.
Qualunque sia l’esatta etimologia, l’esoterismo è da sempre la tendenza ad “un insegnamento estremamente riservato, a cui venivano ammessi soltanto alcuni individui che avevano ricevuto una preparazione specifica. Gli altri, la massa, erano tagliati fuori. Gli stessi concetti, venivano appositamente ammantati di doppi significati, camuffati in più modi, quando addirittura i testi non venivano nascosti completamente alla vista, nei templi o in luoghi inaccessibili."
"L'esoterismo è antico come il mondo; tutte le rivelazioni magiche presso i primitivi venivano compiute nel mistero, lontano dagli altri membri della tribù, all'ombra propizia di un bosco sacro, in un luogo appartato, oppure su una sommità isolata. La conoscenza delle tecniche che donano capacità sovrumane è sempre stata circondata dai misteri. Da lungo tempo esiste la distinzione tra il volgare, la moltitudine, il popolo-ritenuto ignorante, grossolano, goffo, istintivo- e gli eletti, i saggi, gli iniziati, gli adepti. Tale distinzione esisteva tanto in campo culturale come in quello religioso, e spesso l'uno si trovava ad invadere l'altro. Le tecniche di governo erano intimamente connesse con le tecniche magiche; l'ordine sociale era il riflesso fedele dell'ordine cosmico e magico della natura; il microcosmo, con la sua stabilità, assicurava l'ordine del macrocosmo. I segreti di stato, i mezzi magico-politici di dominio, i gesti rituali che asservivano il cielo erano riservati ad una cerchia ristretta, a coloro che erano degni di ricevere, conservare e trasmettere tali rivelazioni, esoteriche nella loro essenza per il fatto che avrebbero potuto dar luogo a conseguenze incalcolabili."
"L'esoterismo nasce dall'assoluta conoscenza di chi ha osato per primo affrontare il peso della sapienza trafugandola agli antichi dei. All'alba della creazione l'uomo tradusse in conoscenze ciò che aveva captato dall'esterno. Durante la ricerca della ragione della propria vita il suo discernimento si svolse verso l'imponderabile, in quanto non poteva esistere soltanto il nulla. Tutto gli apparve improvvisamente, per trasmettersi dalla mente al cuore. Ogni percorso intrapreso portava l'uomo verso ricordi antecedenti: gli archetipi, solo apparentemente immobili, si manifestarono sotto forma di simboli tribali. Gli elementi avevano un'importanza fondamentale e la loro energia veniva impiegata quale legame con il tutto rappresentatati dall'universo. L'essere umano, soggetto alla grande opera divina, fu testimone di una spiritualizzazione progressiva, non diffusa alle masse ma riservata ad una ristretta e prescelta casta iniziatica. Da ciò si deduce che l'esoterismo è scaturito dalla parte più profonda dell'essere umano, restituendogli quel mondo che non poteva ricordare. Così, subito dopo le civilizzazioni preistoriche, si fece spazio alla luce dell'interiorità. Ogni interrogativo trovò un riscontro con l'inizio dei culti sacrali e delle varie manifestazioni misteriche.
I grandi sacerdoti e i sommi capi detenevano il potere della conoscenza occulta, che esercitavano con grande segretezza, non condividendone con i profani che i frammenti indispensabili alla loro evoluzione. Solo chi dimostrava di essere degno di ricevere gli insegnamenti occulti veniva ammesso nella cerchia privilegiata di coloro che un giorno avrebbero guidato le tribù".
"Le forme religiose ebbero sempre un aspetto essoterico e uno esoterico, esistevano l'insegnamento ad uso popolare e quello riservato a pochi. La maestà sacra del materiale religioso, dei riti temibili ed efficaci, esigeva una gerarchia dell'esecuzione, tanto quanto una gerarchia della conoscenza".
Fin da subito l'insegnamento esoterico fu protetto. "Il pericolo di tale insegnamento stava nel modo di affrontare le problematiche dell'etica, della vita e della morte sotto aspetti che differivano dalle dottrine correnti".
Inoltre gli iniziati, coloro che partecipavano a questi insegnamenti alternativi avevano l'obbligo del segreto perché queste conoscenze in mani sbagliate potevano causare danni gravissimi. Basta leggere alcune parole di Ermete Trismegisto. " Richiamandoti a questi principi, ti ricorderai facilmente delle cose che più a lungo ti spiegai e che qui sono riassunte. Ma evita di intrattenervi alla folla; non perché io voglia impedire che ne venga a conoscenza, ma perché non voglio esporti alle sue derisioni. Chi si somiglia si congiunge, e tra persone dissimili non può esistere amicizia. Queste lezioni devono essere udite da pochi, o presto non ve ne saranno più del tutto. Esse posseggono qualcosa di così particolare che spinge i malvagi ancor più verso il male. Guardati dalla moltitudine, perché questa non comprende la virtù di tali discorsi".
Chiari dunque i riferimenti ad un possibile uso improprio delle conoscenze occulte che perciò dovevano rimanere nascoste ai più. "Queste parole di Ermete riassumono il pensiero delle diverse scuole religiose e iniziatiche; rendono comprensibile la necessita dell'esoterismo dei loro insegnamenti, le difficoltà dell'iniziazione, la severa scelta degli adepti, le rigorose regole di vita imposte ai confratelli. Esisteva l'imperiosa necessità di celare una dottrina inaccessibile, una saggezza che non fosse deformata dalla volgarizzazione".
"A cosa serviva questa conoscenza? E' assolutamente necessario abbandonare la concezione intellettuale e razionalista della verità che caratterizza la nostra epoca moderna. Per quanto è possibile giudicare dagli insegnamenti tramandati fino a oggi, una conoscenza, per gli antichi, era ipso facto una regola di vita. Essi mal distinguevano la conoscenza ideologica e scientifica del mondo dal proprio personale modo d'essere; la rivelazione attraverso l'insegnamento, l'intuizione diretta o sopranormale, le gerarchie e le tecniche spirituali richiedevano una specifica condotta di vita. Le dottrine non venivano classificate, ma sperimentate. Tutto l'esoterismo era vivente, attivo, e partecipava al sacro, al magico. Ciò spiega altresì la ragione per cui ci sono riamaste ben poche testimonianze, dal momento che il segreto giurato veniva osservato rigorosamente, e gli ultimi adepti degli antichi Misteri sono scomparsi con l'insegnamento orale ricevuto che non hanno potuto, o voluto trasmettere".
Lo studioso francese fa anche un confronto tra l'antica conoscenza e certi sedicenti "esperti" moderni di esoterismo.
"Questa materia è piena di rischi, e ce ne rendiamo conto; per questo abbiamo sistematicamente scartato tutte le documentazioni fantasiose, intuitive o ipotetiche. Non abbiamo fatto appello- salvo rarissime eccezioni-a coloro che si definiscono occultisti moderni e che pretendono di essere i successori ufficiali o ufficiosi degli antichi iniziati. E' sufficiente fare un paragone, anche senza "iniziazione", fra i grandiosi resti dei Misteri e gli insegnamenti dei moderni gerofanti; la povertà, l'ignoranza e l'indecorosità letteraria di questi ultimi permettono facilmente di giudicare le loro pretese. Sono singolarmente reticenti quando si tenta lealmente di ricostruire con loro le origini delle tradizioni di cui si ritengono i soli rappresentanti autorizzati".
E' proprio per la necessità di segretezza tipica dell'insegnamento iniziatico che al giorno d'oggi si sa pochissimo del vero esoterismo. O meglio diciamo che la stragrande maggioranza della popolazione mondiale non conosce praticamente niente di quell'antico insegnamento. Sono stati scritti molti libri. Nei secoli qualcosina è stata fatta trapelare, ma è praticamente nulla dell'essenza dell'esoterismo. Dall'alba dei tempi pochissimi sono stati i veri iniziati, coloro cioè a conoscenza degli antichi segreti.
"Accanto alle religioni e alle forme sociali delle diverse civiltà si può trovare l'esistenza di gruppi di illuminati, di saggi, di religiosi, di filosofi, che hanno scisso la loro vita in due parti, sacrificando a volte l'aspetto mondano per un'altra forma di esistenza. Qualunque sia l'opinione che si può nutrire nei riguardi di questi ricercatori di verità e di pace spirituale, essi meritano tutto il nostro rispetto: si deve ammirare chi sacrifica tutto per un ideale".
Alcuni tra questi saggi svolgono un compito fondamentale: hanno la loro professione e tali sono per il resto del mondo ma dietro a questa copertura custodiscono i segreti dell'antica conoscenza.
Certi magari sono persone molto semplici, che fanno lavori umili, altri ricoprono cariche importanti, alcune religiose, altre politiche.
Possono quindi essere in posizioni diverse per via delle differenti necessità evolutive.
Ma tutti, dal più piccolo al più grande, collaborano alla realizzazione del piano divino.
"Nei secoli l'esoterismo si alterna o si confonde con altre forme di pensiero. Nei momenti di particolare chiusura, in cui viene messa in discussione la credibilità sia delle religioni sia delle scienze, cresce il bisogno di approfondire il lato nascosto delle cose. In realtà l'esoterismo è sempre esistito, conoscendo andamenti diversi-sviluppi o restrizioni- a seconda dei momenti storici. A fasi improntate alla tolleranza (es. il Rinascimento) succedettero epoche di repressione, oscurantismo e fanatismo religioso (la caccia alle streghe).
Molti scienziati studiarono a fondo le dottrine esoteriche: basti pensare ad Ashmole, presidente e fondatore della Royal Society e cultore di alchimia e massoneria; oppure a Fludd e Yeats, che si interessarono al Rosacrucianesimo. D'altra parte, anche in tempi più recenti molti scienziati si sono avvicinati al mondo dell'esoterismo e dell'intuizione (esemplare il caso di Jung).
La tradizione iniziatica delle antiche scuole esoteriche è andata in gran parte perduta e non esistono scuole di livello superiore. Nel ridare vita a questi studi, ormai sviliti e confusi, e nel rileggittimarli secondo una dimensione più attuale fu determinante il contributo di Corbin, che divulgò il concetto di mundus immaginalis (un mondo intermedio che si colloca tra la materia e lo spirito).
Anche Jung assunse un ruolo essenziale in questo senso, con la sua definizione degli archetipi. Grazie alla sua grande sensibilità interiore e al proprio intuito riuscì ad andare oltre l'aridità della visione scientifica. Riportò alla luce le antiche dottrine iniziatiche, alchemiche ed esoteriche, studiandone le origini e restituendo la propria nobiltà a ciò che appariva inutile e superato, sepolto sotto la polvere del tempo, schiacciato dall'ignoranza e dal materialismo più gretti.
Va citato naturalmente anche l'apporto degli studiosi contemporanei che si batterono per riscattare l' esoterismo, come Antoine Faivre, René Guenon, Mircea Eliade ed Elémire Zolla.
Non esistono, attualmente, nuove scuole esoteriche di livello superiore, ma solo timidi tentativi compiuti individualmente o in gruppo da persone armate di buona volontà, che attingono l'amore per le origini della conoscenza dalla propria esperienza spirituale".
"L' esoterismo è basato sull'assioma che il mondo sensibile non costituisce che una piccola parte della realtà. Il compito delle dottrine esoteriche è sempre stato quello di ottenere la conoscenza del mondo soprasensibile. Per raggiungere tale scopo non si avvalgono di uno strumento razionale ma dell'intuizione che l'iniziato Dante Alighieri chiama " luce intellettual piena d'amore". Per compiere l'indagine esoterica è indispensabile conquistare la capacità si utilizzare la facoltà intuitiva, attraverso un lungo tirocinio ed affinamento delle capacità latenti nell'uomo…alla radice di tutte le cose esiste un'energia, ripartita in vari ordini e livelli, la cui natura e sostanza devono essere comprese dall'uomo, in modo che possa impiegarla. Proprio perché opera nel misterioso campo delle energie, la scienza esoterica deve mantenere il segreto, riservando agli iniziati gli insegnamenti basilari-trasmessi in genere oralmente-ed il possesso della chiave dei misteri.
Chiunque segua la strada esoterica dev'essere scevro da settarismi e pregiudizi e favorire i rapporti tra le varie dottrine, per approfondirne la conoscenza. Esiste anche un filone esoterico individuale che interessa coloro che non sentono l'esigenza di seguire un Maestro. Si tratta soprattutto di artisti ma anche letterati, filosofi, musicisti".
"Nell'epoca antica per essere ammessi alla conoscenza dei misteri bisognava ricevere l'iniziazione, …un insieme di riti e insegnamenti orali, il cui scopo è la modificazione radicale dello stato religioso e sociale del soggetto da iniziare. Al termine della prova il neofita entrava in una condizione esistenziale completamente diversa da quella precedente, ossia diveniva un essere totalmente rinnovato. La maggior parte delle prove iniziatiche implica infatti una morte rituale, seguita da una resurrezione simbolica o da una "nuova nascita". Il momento culminante dell'iniziazione è rappresentato dalla cerimonia che simboleggia la morte del neofita e il suo ritorno tra i vivi. La morte iniziatica costituisce nello stesso tempo la fine dell'infanzia, dell'ignoranza e della condizione profana. Dunque l'iniziazione è l'ingresso in una nuova vita, concepita come vera esistenza spirituale aperta ai valori più profondi dell'essere, permeata dal senso divino e dall'autentica conoscenza della vita. Tutto ciò rende possibile l'ascesa interiore che conduce di grado in grado ad uno stato d'illuminazione perfetta. Così avviene la rigenerazione dell'anima.
Ma per poter veramente capire che cosa sia l'iniziazione dobbiamo riportarci agli antichi Egizi, ai Persiani, ai Frigi, ai Traci ed ai Greci, quindi alle antiche religioni misteriche che hanno lasciato una traccia nelle religioni e filosofie moderne".
"L'Egitto è la fonte dalla quale tutto si diffuse, la terra dove furono iniziati tutti i grandi esseri che bussarono alle porte dei suoi templi. Pitagora apprese a Tebe la scienza dei numeri, mentre Talete e Democrito acquistarono le loro conoscenze a Menfi. Si dice che anche Orfeo trovò in Egitto tutto ciò che ricercava, e che Platone ed Eudossio passarono molto tempo ad Eliopoli per appendere sia la morale sia le scienze matematiche. Fu a Sais che Licurgo e Solone attinsero i segreti della legislazione. Insomma, i luoghi iniziatici dell'Egitto erano anche scuole in cui si imparavano le arti, la filosofia, le scienze, la morale, la legislazione, la filantropia ed il culto".
E inoltre, ma non per ultimi dobbiamo ricordare tra i vari personaggi che furono iniziati all'ombra delle piramidi anche Mosè e il Re dei Re, cioè Gesù Cristo.
"L'iniziato è colui che vibra all'unisono con il suono dell'universo, quindi non ha bisogno della parola per esprimersi. L'obbligo di non svelare i segreti dei misteri ai quali è stato ammesso non gli è di peso, in quanto intende il silenzio come lo spazio che separa l'uomo dalla conoscenza delle cose divine. ...Inizialmente è necessaria una grande forza d'animo per imporre a se stesso un silenzio che spesso lo estrania dal resto del mondo.
Macerando il proprio egoismo in lunghe meditazioni, raggiungerà un livello do coscienza del proprio sé assai notevole. La modestia e la saggezza saranno le sue compagne di colloquio. Si spoglierà d'ogni inutile orpello e di ogni parola offensiva, annullando se occorre anche la propria umanità, per ricevere quello stato di illuminazione che è il traguardo principale di tutti coloro che cercano la verità perduta. Opererà non dal vertice della piramide ma dalla base, solidamente, lentamente, pazientemente e con diligenza, usando la volontà ed il senso della misura. Il silenzio iniziatico, retaggio degli antichi misteri, fa parte anche di tutte le regole monastiche. Permette all'individuo di ricostruire la sua interiorità lavorando nella sacra quiete del tempio; costituisce il preludio della Rivelazione, perché conduce al punto più intimo di se stessi, dove l'eternità, come un mare vivificante, riporta l'essere umano alle sue origini divine. Questa è la regola d'oro dell'iniziato e del saggio: saper tacere. Lo stesso Pitagora la impose ai propri discepoli.
L'iniziato non imparerà mai tanto dai mille libri quanto dal sedersi sotto un albero ad ascoltare il proprio silenzio, che in realtà ha un suono: una musica così remota che solo chi possiede un cuore puro riesce a percepirla. Chi sa o ha imparato non ha bisogno di trasmettere con la parola, perciò il neofita dovrà comprendere che restare silenziosi non significa soltanto mantenere un segreto, ma imparare ad ascoltare il proprio Io e quello degli altri".
"Chiunque, purché lo voglia veramente, può incontrare il proprio Maestro interiore, che non è una guida spirituale comune ma un'energia che fa parte di noi stessi. Quando il discepolo è pronto, si manifesta il Maestro che dimora in lui. Nel momento in cui il discepolo si sarà preparato, tramite l'autopurificazione e la disciplina della conoscenza del sé, allora anche la sua guida si renderà presente.
Tale guida insegnerà operando dentro l'allievo d avvolgendolo completamente in tutti gli aspetti della sua esistenza. Questa grande presenza agisce attraverso lo Spirito, ma perché ciò accada bisogna perfezionarsi mediante il retto pensiero, la parola ed il retto agire, usando altruisticamente i propri poteri a beneficio dell'umanità; così si tradurrà l'immortale linguaggio cosmico nel linguaggio e nelle idee degli uomini mortali, e l'intuizione sarà il mezzo di questa ricezione. Quando la preparazione dell'allievo sarà completata, la comunicazione con il Maestro supererà le barriere fisiche e le distanze incommensurabili, quindi la verità sarà più vicina. Nell'esoterismo si è tanto discusso del Maestro interiore, a volte negandolo ed a volte cercando di chiarirne l'esistenza. ...L'immersione nella parte del nostro io più adamantina (priva di egoismo che caratterizza la vita di ogni giorno) è l'unico mezzo per entrare in sintonia con il Maestro interiore, che si presenterà con immagini diverse a seconda del nostro grado evolutivo e delle nostre tendenze interiori.
Questo incontro, tanto agognato dagli esoteristi, è l'unico mezzo per entrare in contato con il proprio archetipo e trarne la conoscenza del proprio vero essere. Fondendosi con questo contatto ed assimilandone l'immagine o il simbolo si riuscirà a coglierne il significato più nascosto ed a trasformarlo a seconda delle proprie necessità conoscitive ed evolutive. Raggiungere la completezza dell'insegnamento iniziatico è cominciare il dialogo con il vero Maestro che si cela in noi, in dialogo che, se lo vorremo, non avrà mai fine".
Al giorno d’oggi si sente usare frequentemente in modo errato la parola esoterismo. Tv e mass-media, soffermandosi su operatori dell’occulto e sette di vario tipo che spesso si dedicano a messe-nere, orge basate sul sesso sfrenato, suicidi di massa, sacrifici, fatture ed altro ancora,parlano di riti esoterici, identificando quindi l’esoterismo, con questi fenomeni squallidi ed inqualificabili che di esoterico non hanno nulla. Non si capisce se si tratti solo di ignoranza o di precisa volontà di denigrare un insegnamento cha ha invece origini nobilissime.
"Nella letteratura esoterica contemporanea compare il termine occultismo, spesso accomunato a catene o a correnti spiritiche di carattere magico-settario. Purtroppo si tratta di un aspetto attribuito erroneamente ad un ambito esoterico meno conosciuto e più profondo. L'esoterismo non è né una religione né una corrente specifica, ma un insieme di significati , di simboli, frutto di un percorso di ricerca che porta ad una dimensione iniziatica superiore.
Ed è proprio superando le dure e difficili prove incontrate nel corso di questo cammino che l'iniziato raggiunge la propria illuminazione. In quel momento egli si rende conto che è avvenuto l'incontro con il proprio maestro interiore-quell'essere spirituale che ha sempre fatto parte di lui. Questo tipo di rinascita purifica dalle scorie delle meschinità terrene.
Esistono e sono esistite, senza dubbio, diverse scuole esoteriche, ma la più difficile è quella dell'acquisizione personale, tramite al quale si può arrivare ad una vera e propria autoiniziazione. L'esoterismo esula dal contesto mistico, in quanto l'incontro con la gnosi trasforma qualsiasi fede in ricerca e si pone al di sopra di qualunque forma di superstizione o di cieco fideismo. Il confine tra esoterismo e occultismo può essere definito come convenzionalmente come segue: esoterico è ciò che eleva spiritualmente le capacità interiori dell'individuo, mentre occulto è tutto ciò che viene ricercato attraverso l'aiuto di forze estranee all'elevazione spirituale dell'uomo (quindi il ricorso alla magia nera, al satanismo, allo spiritismo incontrollato, alle evocazioni di anime tormentate ed alle forze negative in genere). Rientra nell'ambito esoterico la facoltà, conseguita elevando le proprie capacità interiori, di conoscere e legare a sé le forze della natura, per utilizzarle in una forma magica e naturale, sempre a fini di bene e non egoistici, come accadeva nel Rinascimento e nella cultura celtica.
L'occultismo è la credenza in alcune forze occulte che fanno parte di un mondo invisibile, accessibile solo a chi pratica detta scienza...… Fa parte di una dimensione nascosta, oscura e pericolosa per chi non è in gradi di affrontarne la problematica; l'esoterismo fa parte degli antichi misteri e delle conoscenze iniziatiche segrete".
"L'esoterismo, invece, è sempre stato e sempre sarà. Se osserviamo attentamente attorno, se ascoltiamo e percepiamo, ci rendiamo conto che tutto quanto ci circonda è permeato di sostanze talmente vibranti e sottili che se ne può avvertire l'essenza. Inoltrandoci all'interno del nostro cuore ...possiamo assaporarne l'impulso d'amore per la conoscenza. Ma non basta essere studiosi e sapienti, bisogna vivere come se ogni giorno fosse il primo o l'ultimo, perché la vita è un viaggio iniziatico che ci conduce verso la scoperta della dimensione spirituale. Un grande faraone ha fatto incidere sulla sua tomba la frase "Io dormo, ma il mio cuore è sveglio": questo ci fa comprendere che grandi esseri che vivevano in tempi lontani avevano una conoscenza superiore alla nostra".
[Modificato da Sheenky ffz 21/05/2013 10:50]
21/05/2013 18:15

L'ARCHIVIO AKASHICO

Fonte: www.innernet.it/larchivio-akashico-il-libro-della-vita/

L’Archivio Akashico o “Il libro della vita” può essere considerato l’equivalente di un super-computer dell’universo. È questo computer che funge da memoria centrale di tutte le informazioni di ogni individuo che abbia mai vissuto sulla terra. Forse la più completa fonte di informazioni sull’Archivio Akashico viene dall’opera chiaroveggente di Edgar Cayce.

Non è esagerato affermare che il computer ha trasformato (e sta ancora trasformando) il pianeta intero. Che si tratti della tecnologia, dei trasporti, della comunicazione, dell’educazione o dell’intrattenimento, l’era del computer ha rivoluzionato il globo e i modi in cui comunichiamo e interagiamo tra noi. Nessun settore della società moderna è stato risparmiato.



La quantità di informazioni immagazzinata nella memoria dei computer e presente ogni giorno nella “strada maestra” di Internet è incalcolabile. Tuttavia, questo vasto complesso di sistemi computerizzati e database collettivi non è ancora in grado di avvicinarsi alla potenza, la memoria o l’onnisciente capacità di registrazione dell’Archivio Akashico.

Per semplificare le cose, l’Archivio Akashico o Il libro della vita può essere considerato l’equivalente di un super-computer dell’universo. È questo computer che funge da memoria centrale di tutte le informazioni di ogni individuo che abbia mai vissuto sulla Terra. Più che un semplice contenitore di eventi, l’Archivio Akashico contiene ogni azione, parola, sentimento, pensiero e intenzione che sia mai avvenuto in qualsiasi momento della storia mondiale. Al contrario di un semplice magazzino di memoria, questo Archivio Akashico è interattivo, poiché esercita una grandissima influenza sulla nostra vita di ogni giorno, le relazioni, i sentimenti, i sistemi di credenze e le realtà potenziali che attiriamo su di noi.

L’Archivio Akashico contiene l’intera storia di ogni anima, sin dall’alba della Creazione. Questo archivio ci connette tutti gli uni agli altri, e contiene ogni simbolo archetipo o racconto mitologico che abbia mai influenzato profondamente il comportamento e le esperienze dell’uomo.

L’archivio Akashico ispira i sogni e le invenzioni, provoca l’attrazione o la repulsione tra gli esseri umani, modella e foggia i livelli della consapevolezza umana, costituisce una porzione della Mente Divina, è il giudice e la giuria imparziali che cercano di guidare, educare e trasformare ogni individuo per farlo evolvere al meglio delle sue possibilità, e infine incarna una matrice fluida e sempre mutevole di futuri possibili che diventano attuali quando noi esseri umani interagiamo e impariamo dai dati che si sono già accumulati.

Informazioni su questo Archivio Akashico – questo Libro della Vita – si possono trovare nel folklore, nei miti e in tutto l’Antico e Nuovo Testamento. Sono rintracciabili nelle popolazioni semitiche, negli Arabi, gli Assiri, i Fenici, i Babilonesi e gli Ebrei. In ognuna di queste popolazioni esisteva la credenza nell’esistenza di una sorta di tavole celesti contenenti la storia del genere umano e ogni tipo di nozione spirituale.

Nelle Scritture, il primo riferimento a un libro ultraterreno si trova in Esodo 32:33. Dopo che gli Israeliti avevano commesso un peccato gravissimo adorando il vitello d’oro, fu Mosè a intercedere per loro, giungendo a offrire la propria totale responsabilità e la cancellazione del proprio nome “dal tuo libro che hai scritto” a espiazione delle loro azioni. In seguito, nell’Antico Testamento, apprendiamo che non esiste nulla di un individuo che non sia riportato in questo stesso libro. Nel Salmo 139, Davide accenna al fatto che Dio ha scritto tutti i dettagli della sua vita, incluso ciò che è imperfetto e le azioni ancora da svolgere.

Per molte persone, questo Libro della Vita è semplicemente un’immagine simbolica di coloro che sono destinati al paradiso; le sue radici sono gli archivi genealogici o forse i primi censimenti. La religione tradizionale suggerisce che questo libro – in forma letterale o simbolica – contiene i nomi di tutti coloro che sono degni di salvezza. Il Libro va aperto in relazione al giudizio divino (Dan. 7:10, Rev. 20:12). Nel Nuovo Testamento, i redenti dal Cristo sono contenuti nel Libro (Filippesi 4), mentre coloro che non si trovano nel Libro della Vita non entreranno nel Regno dei Cieli.

Come interessante corollario, nel mondo antico il nome di una persona era un simbolo della sua esistenza. Secondo Sir James Thomas Frazer, autore di The Golden Bough – una delle opere più esaurienti sulla mitologia mondiale – tra il nome e l’esistenza di una persona esisteva un legame tale che “era possibile compiere riti magici su un uomo indifferentemente attraverso il suo nome, i suoi capelli, le sue unghie o qualsiasi altra parte materiale della sua persona”. Nell’antico Egitto, cancellare un nome da un registro equivaleva addirittura a eliminare il fatto che una persona fosse mai esistita.

Più vicino ai giorni nostri, molte informazioni sull’Archivio Akashico sono state fornite da stimati medium e mistici contemporanei, ovvero individui la cui percezione si estendeva in qualche modo oltre i limiti delle tre dimensioni. Secondo H. P. Blavatsky (1831-1891), un’immigrata russa mistica e fondatrice della Società Teosofica, l’Archivio Akashico è molto di più che un semplice elenco statico di dati che un sensitivo può raccogliere qui e là; piuttosto, l’Archivio esercita un’influenza continua e creativa sul presente:

"Akasha è uno dei principi cosmici e un soggetto plastico, creativo nella sua natura fisica, immutabile nei suoi principi più elevati. È la quintessenza di tutte le possibili forme di energia, materiale, psichica o spirituale; inoltre, contiene in sé i germi della creazione universale, che fiorisce sotto l’impulso dello Spirito Divino."
Alchemy and the Secret Doctrine

Rudolf Steiner (1861-1925), il filosofo, pedagogista e fondatore della Società Antroposofica nato in Austria, possedeva la capacità di ricevere informazioni da oltre il mondo materiale: un “mondo spirituale” che per lui era tanto reale quanto per gli altri lo era il mondo fisico. Steiner affermava che la capacità di percepire questo altro mondo poteva essere sviluppata, rendendo un individuo capace di scorgere eventi e informazioni in tutto e per tutto concreti come quelli presenti:

"…l’uomo è in grado di penetrare alle origini eterne delle cose che svaniscono con il tempo. In questo modo, egli amplia la sua facoltà cognitiva se, per quel che riguarda la conoscenza del passato, non si limita alle evidenze esteriori. Poi egli può vedere negli eventi non percepibili ai sensi, quella parte che il tempo non è in grado di distruggere. Egli passa dalla storia transitoria a quella non-transitoria. È un fatto che questa storia sia scritta in caratteri diversi rispetto a quella ordinaria. Nella gnosi e nella teosofia viene chiamata la “Cronaca Akashica”… Al non iniziato, che non è ancora in grado di fare l’esperienza di un mondo spirituale separato, è facile che l’iniziato sembri un visionario, se non qualcosa di peggio. Chi ha acquisito la capacità di percepire il mondo spirituale arriva a conoscere gli eventi passati nel loro carattere eterno. Questi ultimi non stanno di fronte a lui come la morta testimonianza della storia, bensì appaiono pieni di vita. In un certo senso, ciò che è avvenuto ha luogo davanti a lui."
Cosmic Memory

Per quanto riguarda le intuizioni moderne, forse la più completa fonte di informazioni sull’Archivio Akashico viene dall’opera chiaroveggente di Edgar Cayce (1877-1945), mistico cristiano e fondatore della A.R.E. Per trentatré anni della sua vita adulta, Edgar Cayce possedette la capacità soprannaturale di sdraiarsi su un lettino, chiudere gli occhi, unire le mani sullo stomaco ed entrare in una sorta di stato alterato in cui aveva accesso praticamente a qualsiasi tipo di informazione. L’accuratezza dell’opera telepatica di Cayce è dimostrata da circa una dozzina di biografie e da centinaia di libri che analizzano vari aspetti delle informazioni e delle migliaia di argomenti da lui discussi.

Quando era interrogato sulle fonti delle sue informazioni, Cayce rispondeva che erano essenzialmente due. La prima era la mente subconscia dell’individuo cui stava dando la “lettura”, la seconda era l’Archivio Akashico.

Più spesso, quando dava una lettura sulla storia dell’anima di una persona o sulla sua dimora individuale nello spazio e il tempo, Cayce cominciava con un’affermazione del tipo: “Sì, abbiamo di fronte a noi l’archivio dell’entità adesso conosciuta o chiamata…”. Discutendo il processo mediante il quale accedeva a questi archivi, Edgar Cayce descrisse la sua esperienza come segue:

"Vedo me stesso come un piccolo punto fuori dal corpo fisico, che giace inerte davanti a me. Mi sento oppresso dall’oscurità e provo una solitudine terribile. Sono consapevole di un fascio bianco di luce. Da piccolo punto che sono, mi dirigo verso l’alto seguendo la luce, sapendo che devo seguirla, altrimenti sarò perduto.
Man mano che percorro questo cammino di luce, divento gradualmente consapevole di vari livelli sopra i quali c’è movimento. Sopra il primo livello esistono forme indistinte e orribili, figure grottesche come quelle che si vedono negli incubi. Andando avanti, cominciano ad apparire da entrambi i lati figure deformi di esseri umani con alcune parti del corpo ingrandite. Di nuovo, avviene un cambiamento e divento consapevole di figure grigie incappucciate che si muovono verso il basso. Gradualmente, il loro colore si fa più chiaro. Poi, la direzione cambia e queste figure si muovono verso l’alto, mentre il colore delle loro tuniche si schiarisce rapidamente. In seguito, cominciano ad apparire da entrambi i lati profili indistinti di case, muri, alberi ecc., ma ogni cosa è priva di movimento. Andando avanti, appaiono quelle che sembrano normali città, con più luce e movimento. Quando quest’ultimo aumenta, divento consapevole dei suoni: inizialmente strepiti confusi, poi odo musiche, risate e canti di uccelli. C’è sempre più luce, i colori diventano bellissimi e si sente il suono di una musica meravigliosa. Le case restano indietro, davanti c’è solo un insieme di suoni e colori. Improvvisamente mi imbatto in un archivio. Si tratta di una sala senza muri né soffitto, ma sono consapevole di vedere un uomo anziano che mi porge un grande libro, una documentazione dell’individuo per il quale sto cercando informazioni."
Lettura 294-19 (Trascrizione).

Una volta presa in mano la documentazione, Cayce aveva la capacità di selezionare le informazioni più utili per l’individuo in quel momento della sua vita. Frequentemente, una lettura poteva lasciare capire che era stata fornita solo una selezione del materiale disponibile, ma che all’individuo venivano date le cose “più utili e promettenti”. Intuizioni aggiuntive erano spesso fornite in letture successive, dopo che l’individuo aveva cercato di lavorare e mettere in pratica le informazioni già ricevute.

Forse per alludere al fatto che l’Archivio Akashico non era semplicemente una trascrizione del passato, ma includeva il presente, il futuro e alcune possibilità, nella lettura 304-5 Cayce fece una curiosa dichiarazione introduttiva. Discutendo del Libro della Vita, egli affermò che era “L’archivio di Dio, di te, della tua anima interiore e della conoscenza di essa” (281-33). In un’altra occasione (2533-8), fu chiesto a Cayce di spiegare la differenza tra il Libro della Vita e l’Archivio Akashico:

“Domanda: [Cosa si intende con] il Libro della Vita?
Risposta: L’archivio che l’entità stessa scrive pazientemente sopra la matassa del tempo e dello spazio. Esso viene aperto quando il sé è sintonizzato con l’infinito, e può essere letto da coloro che si stanno armonizzando con tale consapevolezza…
D: Il libro dei Ricordi di Dio?
R: Questo è il Libro della Vita.
D: L’Archivio Akashico?
R: Quelli creati dall’individuo, come appena indicato."
Lettura 2533-8

Le letture di Edgar Cayce suggeriscono che tutti noi scriviamo la storia della nostra vita tramite i nostri pensieri, le nostre azioni e la nostra interazione con il resto della Creazione. Queste informazioni hanno un effetto su di noi nel qui e ora. Di fatto, l’Archivio Akashico ha un tale impatto sulle nostre vite e le potenzialità che attiriamo su di noi, che qualsiasi indagine su di esso non può fare a meno di darci intuizioni sulla natura di noi stessi e della nostra relazione con l’universo.

Ci sono molte più cose nella nostra vita, nella nostra storia e nella nostra influenza individuale sul domani di quante, forse, abbiamo mai avuto il coraggio di immaginare. Avendo accesso alle informazioni dell’Archivio Akashico, il database dell’universo, molte cose potrebbero esserci rivelate. Il mondo, così come lo abbiamo collettivamente percepito, non è che una pallida ombra della realtà.

"Nel tempo e nello spazio sono scritti i pensieri, le azioni, le attività di un’entità: nella loro relazione all’ambiente, alla sua influenza ereditaria; e nel loro essere guidati, ovvero diretti dal giudizio o in accordo a ciò che l’entità ritiene ideale. Per questo, come spesso è stato definito, l’archivio è il libro dei ricordi di Dio; e ogni entità, ogni anima… Riguardo le sue attività quotidiane, ne compie alcune bene, altre male e altre ancora in modo neutro, a seconda dell’applicazione del sé dell’entità a quella che è la maniera ideale di utilizzare il tempo, l’opportunità e l’espressione di ciò per cui ogni anima entra in una manifestazione materiale.
L’interpretazione, come è stata formulata qui, viene data con il desiderio e la speranza che, nel rivelare questo all’entità, l’esperienza possa essere utile e promettente.
Edgar Cayce, lettura 1650-1

Sì, abbiamo il corpo qui, e la documentazione come è stata prodotta e come potrebbe essere prodotta con l’esercizio della volontà, e la condizione – così come è stata creata – che prescinde dall’influenza o gli effetti della volontà. Abbiamo condizioni che potrebbero essere state, che sono e che potrebbero essere. Non mischiate le tre, e non incrociate i loro intenti."
Lettura 340-5

Il Libro della Vita – o l’Archivio Akashico – è il magazzino di tutte le informazioni riguardanti ogni individuo mai vissuto sulla Terra: esso contiene ogni parola, azione, sentimento, pensiero e intenzione mai avvenuti. Apprendi in che modo hai il controllo del tuo destino e come puoi utilizzare il tuo archivio – le tue vite passate, le tue esperienze presenti e il tuo futuro non ancora dischiuso – per creare la vita che desideri.
22/05/2013 10:59

I TULPA TIBETANI

Come sempre in inverno, la strada che collega la Cina a Lhasa, la capitale della regione del Tibet, è, anche in quell'anno 1923, in pessimo stato; ciò non impedisce a gruppetti di viaggiatori (per lo più pellegrini che si recano alla città santa nella speranza di scorgere il dalai lama, una specie di semidio loro capo spirituale) di continuare il loro cammino, malgrado il freddo pungente e la neve che acceca.
Tra i pellegrini c'è una donna anziana, in niente diversa dalle altre contadine venute dalle province più lontane dell'impero: invece è francese e si chiama Alexandra David-Neel. La tinta scura dei suoi capelli, originariamente bianchi, è dovuta a inchiostro di china. Il colorito della pelle lo ha ottenuto spalmandovi un miscuglio d'olio, di cacao e di carbone pestato. Trent'anni prima, Alexandra David-Neel era una cantante d'opera assai conosciuta per aver ottenuto la parte di protagonista nella Manon di Massenet. Poi, si era appassionata ai viaggi, che le avevano fatto vivere molte avventure e le avevano insegnato molte cose. Durante uno di questi viaggi, per esempio, aveva incontrato un mago che l'aveva iniziata all'arte del tumo: sedersi nudi nelle nevi dell'Himalaia senza sentire freddo. Aveva anche imparato, esercitando la forza della mente, a creare dei tulpa, cioè delle forme di pensiero in grado di materializzarsi.



Per comprendere la natura di un tulpa, bisogna ricordare che i buddisti tibetani, come gli occultisti occidentali, ritengono che il pensiero non sia una semplice funzione intellettuale: ogni pensiero è legato all'esistenza di quell'"energia spirituale" che permea il mondo della materia, come i cerchi prodotti da una pietra gettata nell'acqua di un ruscello.
In genere, le onde di pensiero hanno solo breve esistenza e non hanno il tempo di venire a contatto con l'energia spirituale che penetra nel piano fisico. Ma se la paura o una passione violenta producono un pensiero più intenso, o se un pensiero è rimuginato a lungo, allora verrà permeato dall'energia spirituale e darà vita a una "forma di pensiero".
Per i buddisti tibetani, i tulpa non hanno una loro realtà: ma, del resto, neppure il mondo materiale è reale, secondo loro. Secondo la loro concezione filosofica, tutto è illusione. Ecco quanto affermava, a questo proposito, un buddista tibetano del I secolo d.C.: "Tutto è creazione dello spirito, nulla ha forma esteriore reale. E' errato pensare che le cose abbiano una forma. Ogni fenomeno nasce da errori dello spirito. Se lo spirito è indipendente da queste false idee, allora i fenomeni scompaiono".
Se la tesi dei buddisti tibetani, dei mistici e dei maghi è fondata, i casi di apparizioni cessano di essere un mistero. Essa spiegherebbe, per esempio, il fatto che un luogo in cui è stato commesso un omicidio resterebbe "abitato" dalle "forme di pensiero" dell'assassino e delle sue vittime, e che mesi o secoli più tardi queste onde di violenza o d'angoscia potrebbero essere capitate, talvolta addirittura rivissute, da soggetti particolarmente sensibili. Gli specialisti dell'occulto affermano che certi fantasmi sono dei tulpa, cioè "forme di pensiero" create deliberatamente da un mago con scopi ben precisi.
L'esistenza di "forme di pensiero" molto potenti provenienti dal passato spiegherebbe anche le numerose testimonianze di apparizioni su antichi campi di battaglia. Fenomeni di questo tipo si sono prodotti, per esempio, a Naseby, in cui si svolse una battaglia decisiva durante la guerra civile inglese; la stessa cosa si è verificata a Dieppe, teatro di un'importante azione militare nel 1942.
Un tulpa è una "forma di pensiero" estremamente potente, della stessa natura delle altre apparizioni: se ne differenzia, tuttavia, perché non è frutto del caso ma il risultato di un processo mentale, di un atto della volontà. Il termine tulpa è di origine tibetana, ma in tutto i mondo adepti del Buddismo affermano di essere capaci di creare apparizioni simili: e dicono che è sufficiente captare una parte dell'energia spirituale dell'Universo infondendole una determinata forma e poi trasferirvi un po' della propria energia vitale.
Nel Bengala, patria dell'occultismo indiano, questa tecnica è conosciuta col nome di kriya shakti ("potenza creatrice"). Fa parte delle pratiche della filosofia tantrica, un sistema magico-religioso che si interessa degli aspetti spirituali della sessualità. Tra gli adepti del tantrismo ci sono indù e buddisti.
La maggior parte delle tecniche mistiche tibetane deriva dal tantrismo praticato nel Bengala, come dimostrano chiaramente gli innegabili punti in comune esistenti tra gli esercizi fisici, mentali e spirituali dei discepoli yogi del tantrismo del Bengala e le pratiche segrete del buddismo tibetano. La pratica tibetana dei tulpa non sfuggirebbe dunque alla regola e trarrebbe la sua origine dal kriya shakti.
Per creare un tulpa, l'adepto innanzitutto sceglie una divinità, maschile o femminile, del pantheon tibetano, eleggendola, in un certo senso, a sua protezione. Occorre precisare che per i tibetani gli dei, benché siano dotati di poteri soprannaturali, sono ugualmente prigionieri del ciclo delle reincarnazioni esattamente come i più umili dei mortali. Il discepolo si ritira poi in un luogo isolato, o in un eremo, per meditare in pace sul suo yadam (il dio protettore), elevandosi alla contemplazione degli attributi spirituali per tradizione a quello associati. Nello stesso tempo, compie esercizi di visualizzazione fino a rappresentarsi distintamente, in spirito, l'immagine del dio, quale è dipinta su quadri e statue.
Per aiutarsi nella contemplazione, il discepolo salmodia senza interrompersi delle litanie attribuite al suo yidam. Intanto disegna dei kyilkhor. Spesso dipinge i motivi su carta o su legno usando inchiostri colorati, talvolta li scolpisce su cuoio o sul lamine d'argento, oppure li disegna sul terreno, con polveri di colori.
La preparazione dei kyilkhor richiede estrema attenzione, perché il minimo errore esporrebbe lo sfortunato discepolo a gravissimi pericoli, alla follia, alla morte o, ancora peggio, alla permanenza forzata per migliaia d'anni in uno degli inferni della cosmogonia tibetana. E' interessante notare che lo stesso timore è presente anche nei paesi occidentali: la tradizione esoterica non dice forse che se un mago che "cerca di evocare uno spirito" si sbaglia nel disegnare il cerchio magico protettore, rischia di essere "fatto a pezzi"?
Ma se il discepolo non sbaglia e persiste nei suoi sforzi, dopo un periodo di tempo più o meno lungo riesce a vedere il suo yidam. All'inizio è soltanto una forma vaga, avvolta nella nebbia, che compare per brevi istanti: poi, a poco a poco, si delineano i contorni e la figura prende consistenza. Il discepolo continua la meditazione, la visualizzazione della divinità, continua a ripetere le formule e a contemplare i diagrammi mistici finché il tulpa si materializza: questo diventa allora una creatura indipendente che segue il suo padrone e gli parla, se è il caso. Talvolta, il tulpa accetta anche di allontanarsi dal suo kyilkhor per accompagnare il padrone in un viaggio, diventando visibile a tutti.
Alexandra David-Neel racconta che, un giorno, "vide" uno di questi tulpa, che, fatto curioso, non si era ancora reso manifesto al suo creatore. Era il periodo in cui la ricercatrice si interessava molto da vicino all'arte buddista. Un pomeriggio, ricevette la visita di un pittore tibetano, specializzato nell'arte religiosa. Improvvisamente Alexandra David-Neel scorse alle spalle dell'uomo una forma dai contorni non ben delineati, in cui riuscì però ugualmente a riconoscere uno degli "dei della vendetta" del pantheon tibetano.


Alexandra David-Neel

Si avvicinò, tese la mano e sentì un "oggetto dolce, morbido": ma al contatto perse la consistenza. Il pittore le confidò poi che da settimane stava compiendo riti magici per riuscire a evocare la divinità di cui la donna aveva visto la forma abbozzata, e che aveva passato tutta la mattinata precedente la visita a dipingerla.
Molto incuriosita, Alexandra David-Neel decise di creare un tulpa di sua scelta. Per non lasciarsi influenzare dalle pitture tibetane che aveva visto durante i suoi viaggi, decise di lavorare su un'immagine che le fosse familiare: scelse quella di un buon monaco gioviale e cominciò il lavoro di concentrazione.
Si ritirò in un eremo e, per parecchi mesi, consacrò ogni minuto della sua giornata a esercizi di concentrazione e di visualizzazione. A poco a poco, il "monaco" prese forma. Divenne anche tanto "reale" da accompagnarla in uno dei suoi viaggi e da far parte del gruppo con la stessa "consistenza" di tutti gli altri compagni, agendo in modo indipendente, fermandosi per esempio a guardare intorno a sé, cosa comune a tutti i viaggiatori. Alexandra David-Neel racconta che una volta sentì le vesti del monaco sfiorarla e una mano posarsi sulla sua spalla, una sensazione difficilmente classificabile a livello di sogno.
Sfortunatamente, il "monaco" cominciò a comportarsi in modo strano, il che fece sorgere dei problemi. Perse il suo buon umore e la sua cordialità, il suo sguardo assunse un'espressione cattiva. Un giorno, un pastore venuto a portare del burro ad Alexandra David-Neel scorse il tulpa nella sua tenda e credette di aver a che fare con un monaco in carne e ossa. Poiché sfuggiva al suo controllo e stava trasformandosi in un vero e proprio incubo, la studiosa decise di sbarazzersene: le occorsero sei mesi di concentrazione e di meditazione per far tornare il monaco nelle sue dimore.

Ecco come Alexandra David-Neel racconta questa esperienza nel saggio "Mistici e maghi del Tibet"…

"... Avevo ascoltato racconti di materializzazioni e mi chiedevo se fossero pure immaginazioni. Incredula com'ero, volli fare io stessa l'esperienza, e per non farmi influenzare dalle forme impressionanti delle deità tibetane, decisi di scegliere un personaggio insignificante: immaginai un lama bassotto e corpulento, un tipo innocente e gioviale. Dopo qualche mese l'ometto era formato. Egli a poco a poco si "fissò" e divenne per me una specie di ospite permanente. Non aspettava, per apparire, che io pensassi a lui, ma si mostrava anche nel momento in cui io avevo la mente rivolta a tutt'altre cose. L'illusione era soprattutto visiva, ma mi accadde, più di una volta, di sentirmi come sfiorata dalla stoffa di un abito e di sentire la pressione di una mono posata sulla mia spalla. In quei momenti non ero in un ritiro o in meditazione: godevo come d'ordinario di eccellente salute fisica e psichica. Gradualmente, però, nel mio lama si andò operando un cambiamento. L'aspetto che io gli avevo dato si modificò, la sua complessione si fece più minuta e l'uomo prese un'espressione vagamente scanzonata e cattiva. Divenne inopportuno. In breve, sfuggiva al mio controllo. Un giorno fu un pastore a vedere il fantasma creato da me, e lo scambiò per un lama in carne e ossa. Quel fatto mi spaventò: significava che anche altri riuscivano a vedere la mia creazione. Avrei forse dovuto lasciare che il fenomeno seguisse il suo corso, ma la presenza indesiderata del lama mi innervosiva e si andava trasformando in incubo. Mi decisi perciò a dissipare l'allucinazione della quale non ero completamente padrona. Ci riuscii, ma dopo sei mesi di sforzi..."
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22/05/2013 11:52

Alexandra David-Neel
La «femme aux semelles de vent » e la scrittura


www.farum.it/publifarumv/n/02/pdf/Asole.pdf

L'unico video in italiano che ho trovato su Alexandra David-Neel, si tratta di serie di lettere inviate al marito in riferimento all'incontro con lo yogi Sri Aurobindo.



Il sito a lei dedicato

www.alexandra-david-neel.org/


22/05/2013 12:11

Non le conoscevo queste lettere.
Molto belle.
La voce della lettrice poi, ti mette quasi in uno stato di rilassamento totale.
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22/05/2013 12:35

Sheenky ffz, 22/05/2013 12:11:

Non le conoscevo queste lettere.
Molto belle.
La voce della lettrice poi, ti mette quasi in uno stato di rilassamento totale.



La lettrice dovrebbe essere la Signora Mimma Anna Saia che gestisce il sito La Madre e Sri Aurobindo, dedicato allo Yoga Integrale ed a Mére (la Madre - Mirra Alfassa)

www.lamadre.altervista.org

it.wikipedia.org/wiki/Mirra_Alfassa

it.wikipedia.org/wiki/Sri_Aurobindo



23/05/2013 09:20

GLI SCIENZIATI CHE HANNO INDAGATO L'ALDILDA'

Fonte: www.victorzammit.com/book/italian/cap02italian.html

"Sono assolutamente convinto del fatto che coloro che una volta vivevano sulla Terra possono comunicare e comunicano con noi. È quasi impossibile riuscire a trasmettere agli inesperti un'idea adeguata della robustezza e della quantità delle prove accumulate".
Sir William Barrett, Membro della Royal Society

"Vi dico di insistere. La comunicazione è possibile. Ho dimostrato che le persone che comunicano sono chi sostengono di essere. La conclusione è che la sopravvivenza è stata provata dall'indagine scientifica".
Sir Oliver Lodge Membro della Royal Society

"È assolutamente vero che si è stabilita una connessione tra questo e l'altro mondo".
Sir William Crookes Membro della Royal Society

"Ho parlato con mio padre, mio fratello, i miei zii (defunti) ... Qualunque sia il potere soprannaturale che vogliamo attribuire alle personalità secondarie della (medium) S.ra Piper, sarebbe difficile farmi credere che queste siano riuscite a ricostruire in maniera così completa la personalità mentale dei miei parenti defunti..."
Prof. Hyslop Professore di Logica presso la Colombia University.



Gli illustri scienziati sopra menzionati sono stati fra i primi a indagare scientificamente sull'Aldilà. Inizialmente erano tutti scettici dalla mentalità aperta ed è solo attraverso accurate indagini che hanno accettato l'esistenza dell'Aldilà. Ci sono stati altri celebri scienziati classici e pensatori di tutto il mondo come Alfred Wallace, Sir Arthur Conan Doyle, Sir Phillip Lodge, Arthur Findlay, Camille Flammarion, il Dott. Baraduc, Il Prof. Richet, Guglielmo Marconi, F.W. Myers, il Prof. William James e il Dott. Carrington che, a seguito di indagini, hanno accettato la possibilità della sopravvivenza alla morte.

Dalla fine del XIX secolo fino ad oggi ci sono stati gruppi di scienziati eminenti e stimati - molti dei quali sono i nomi più noti della scienza - che hanno lavorato per dimostrare che l'immortalità è un fenomeno fisico naturale e il suo studio appartiene al ramo della fisica.

Molti di questi scienziati erano persone dotate di altissimo senso pratico, le cui maggiori scoperte in altre aree hanno cambiato in maniera radicale il modo in cui la gente vive e lavora. Molti si reputavano Razionalisti e Umanisti e hanno dovuto affrontare una forte opposizione sia da parte del clero cristiano tradizionalista sia da parte degli scienziati materialisti i quali hanno fatto fronte comune per tentare di annientare le loro scoperte.

Emmanuel Swedenborg

Uno dei pionieri di questa tradizione fu Emmanuel Swedenborg, nato in Svezia nel 1688. Fra gli scienziati di punta del suo tempo, scrisse 150 opere in 17 scienze diverse. All'Università di Uppsala studiò greco, latino, diverse lingue europee e orientali, geologia, metallurgia, astronomia, matematica ed economia. Fu un uomo dotato di grande senso pratico che inventò l'aliante, il sottomarino e un cornetto per i non udenti. Godeva di grande stima, fu membro del parlamento e rivestì importanti incarichi governativi in campo minerario. Mostrò sempre di possedere un'intelligenza estremamente acuta e mantenne una mente pratica fino alla sua morte.

Swedenborg fu anche un chiaroveggente altamente dotato e passò più di vent'anni a investigare sull'esistenza di altre dimensioni. Sosteneva di parlare regolarmente con la gente trapassata. In una occasione ben documentata, la regina di Svezia gli suggerì sarcasticamente di salutarle il fratello defunto qualora lo avesse incontrato. Una settimana dopo Swedenborg sussurrò un messaggio nell'orecchio della regina. Quest'ultima, sconvolta, disse a coloro che erano presenti "Solo Dio e mio fratello possono sapere quello che mi ha appena detto" (Inglis 1977: 131).

Swedenborg scrisse:

"Dopo che lo spirito si è separato dal corpo (il che succede quando una persona muore), quella persona è ancora viva, proprio com'era prima.
Per rassicurarmi di ciò, mi è stato consentito di parlare praticamente con chiunque io abbia conosciuto durante questa esistenza fisica - con qualcuno per ore, con altri per settimane o mesi, con altri ancora per anni - tutto ciò allo scopo precipuo di essere rassicurato su questo fatto (che la vita continua dopo la morte), e portare testimonianza di ciò" (Swedenborg Paradiso e Inferno: 437).

Swedenborg scrisse interi volumi su quelle che oggi chiameremmo Esperienze Extracorporee (OBE) incluse descrizioni molto dettagliate dell'Aldilà. È interessante notare che egli diede una descrizione dell'universo notevolmente simile a quella della fisica quantistica del XX secolo. In un'epoca in cui Newton sosteneva che la materia era composta da atomi impenetrabili messi in movimento da forze esterne, Swedenborg insegnava che essa era composta da una serie di particelle in ordine crescente di grandezza, ciascuna delle quali era costituita da un vortice chiuso di energia che ruotava con moto spiraleggiante a velocità infinita dando un aspetto solido.

Nella sua storia del paranormale di 490 pagine, Brian Inglis (1977) fa riferimento a Emmanuel Kant, il grande filosofo razionalista che indagò su Swedenborg. Sebbene fosse uno scettico dalla mentalità aperta, Kant si convinse che le prove sull'Aldilà fornite da Swedenborg fossero, nel loro complesso, schiaccianti. Egli cita Kant:

"… mentre dubito di ciascuna di esse, tuttavia ho assoluta fiducia in esse se complessivamente considerate." ( Inglis 1977:132).

I principali scienziati della sua epoca

In Inghilterra, uno dei fondatori della Society for Psychical Research (Società per la Ricerca sul Paranormale) (SPR) fu Sir William Crookes, un Membro della Royal Society - un' associazione molto prestigiosa costituita dagli scienziati più illustri eletti dai loro colleghi - e successivamente il suo presidente. Scoprì sei elementi chimici incluso il tallio; molta gente lo considerava il più grande scienziato del suo tempo.

Crookes lavorò indagando approfonditamente sui fenomeni di levitazione associati al medium D. D. Home. Nella ricerca furono incluse fotografie decisive, e diversi scienziati di punta dell'epoca appurarono l'autenticità delle apparizioni, come pure la totale assenza di frode e di trucchi. Uno di questi scienziati fu Cromwell F. Varley, uno dei primi ricercatori nel campo della ionizzazione e il supervisore della collocazione iniziale del Cavo nell'Atlantico. Crookes alla fine si convinse della realtà dell'Aldilà grazie a una serie di notevoli materializzazioni complete della moglie. Curiosamente, nelle principali biografie scientifiche non è mai stata fatta menzione del suo contributo considerevole alla ricerca sull'Aldilà.

Altri fisici di fama

Nel suo gruppo di scienziati c'erano anche Lord Balfour, Sir William Barrett, Sir Oliver Lodge, Lord Raleigh, J. J. Thompson (che scoprì l'elettrone) e Alfred Russell Wallace (che propose la teoria dell'evoluzione contemporaneamente e indipendentemente da Charles Darwin).

Inventori pionieri

Thomas Alva Edison, l'inventore americano del fonografo e della prima lampadina elettrica, era uno spiritualista e sperimentò con mezzi meccanici il contatto con i "morti" (Scientific American, 30/10/1920). John Logie Baird, il pioniere della televisione e l'inventore della macchina fotografica a raggi infrarossi, affermò di avere contattato il "deceduto" Thomas A. Edison attraverso un medium. Egli disse:

"Sono stato testimone di fenomeni sorprendenti in circostanze che escludono ogni possibilità di frode." (Logie Baird 1988: 68-69).

Glen Hamilton

Un altro investigatore del XX secolo fu il Dott. Glen Hamilton, medico e membro del parlamento canadese. Nel suo laboratorio e in condizioni rigorosamente controllate collocò una batteria di quattordici macchine fotografiche dotate di flash e azionate elettronicamente che fotografavano le apparizioni simultaneamente da tutti gli angoli. Tra gli osservatori presenti ai suoi esperimenti c'erano anche altri quattro medici, due avvocati e due ingegneri, uno elettrico e uno civile. Ciascuno dei testimoni affermò con forza e in maniera inequivocabile: "Ho visto ripetutamente persone decedute materializzarsi" (Hamilton 1942). Le registrazioni meticolose delle sue ricerche e la sua collezione di fotografie sono considerate una parte importante degli archivi del Canada e sono esposte al pubblico presso l'Università di Manitoba in Canada.

In Europa dagli inizi del '900 e fino agli anni '20 anche altri scienziati, inclusi il Barone von Schrenck-Notzing, il Prof. Charles Richet, il Prof. Eugene Osty e il Prof. Gustav Geley, fotografarono apparizioni in condizioni controllate di laboratorio. Le loro relazioni scritte mostrano che avevano indagato, escludendole, su tutte le possibili fonti di frode e imbroglio.

Il più grande psichiatra di tutti i tempi, Sigmund Freud, al momento della morte disse che, se avesse potuto rivivere la sua vita, avrebbe studiato la parapsicologia. Lo psichiatra di fama internazionale e di grande influenza Dott. Carl Jung ammise che i fenomeni metafisici potevano essere spiegati in maniera migliore mediante l'ipotesi dello spirito piuttosto che con qualunque altra (Jung, Collezione di lettere 1: 431).

Un altro brillante scienziato e inventore che, dopo avere indagato, si convinse fermamente dell'esistenza dell'Aldilà, fu l'americano George Meek. All'età di 60 anni George Meek si ritirò dalla sua carriera di inventore, progettista e costruttore di strumenti per il condizionamento d'aria e per il trattamento delle acque reflue. Possedeva una grande quantità di brevetti che gli consentirono di vivere agiatamente e di dedicare i successivi venticinque anni della sua vita a una ricerca a tempo pieno autofinanziata sulla vita dopo la morte.

Meek intraprese un vasto programma di ricerca bibliografica e letteraria e viaggiò per il mondo per dar vita a progetti di ricerca con i migliori medici, psichiatri, fisici, biochimici, sensitivi, guaritori, parapsicologi, ipnoterapeuti, ministri di culto, preti e rabbini. Fondò a Franklin, nella Carolina del Nord, la Fondazione di Metascienza, che finanziò la famosa ricerca sullo Spiricom, grazie alla quale si riuscì a stabilire un esteso contatto strumentale bidirezionale fra i viventi e la gente dell'Aldilà (Vedi il Capitolo 4 sulla Transcomunicazione Strumentale).

Il suo ultimo libro, pubblicato nel 1987, After We Die What Then (E dopo che moriamo?), tratteggia le conclusioni dei suoi anni di ricerca a tempo pieno - ossia che tutti sopravviviamo alla morte e che negli ultimi venticinque anni il genere umano ha compreso, più che in ogni altro periodo della storia nota, ciò che succede quando si muore. (Meek 1987: 4).

Alcuni dei nomi più altisonanti nel campo della ricerca scientifica sulla vita dopo la morte sono medici estremamente intelligenti e ingegnosi che hanno iniziato le loro indagini da scettici. La Dott.ssa Elisabeth Kübler-Ross, che ha avuto un impatto globale sul modo in cui vengono trattati i moribondi, è divenuta assolutamente certa della vita dopo la morte grazie alla sua vicinanza con migliaia di pazienti terminali. Questo è ciò che sostiene:

"Fino ad allora non credevo assolutamente all'esistenza dell'Aldilà, ma i dati mi hanno convinto che queste non erano coincidenze o allucinazioni" (Kübler-Ross 1997: 188).

È divenuta così certa che ha scritto quattro libri specificatamente attinenti alla vita dopo la morte: On Life After Death (Sulla vita dopo la morte) del 1991, The Facts on Life After Death (I fatti sulla vita dopo la morte del 1992, Death is of Vital Importance: On Life, Death and Life After Death (La morte è di vitale importanza: sulla vita, sulla morte e sulla vita dopo la morte) del 1995, e The Wheel of Life (La ruota della vita) del 1997. Sul suo sito web Insight 2000 (in inglese), è possibile leggere la straordinaria intervista fatta ad Elizabeth da John Harricharan.

Il Dott. Melvin Morse (un pediatra e un'autorità riconosciuta a livello mondiale nel campo dei piccoli pazienti terminali) era, come disse lui stesso, "un arrogante medico di terapia intensiva" con "un pregiudizio emotivo verso tutto ciò che aveva carattere spirituale", prima che i suoi studi scientifici sui bambini moribondi e il suo esame approfondito della letteratura in materia lo portassero alla conclusione ineluttabile che "esiste un qualcosa di divino che serve da collante dell'universo". Egli scrive:

"Quando esamino la letteratura medica, penso che punti direttamente ad evidenziare che qualche aspetto della coscienza umana sopravvive alla morte. Altri ricercatori concordano con me. Il medico Michael Schroter-Kunhardt, per esempio, ha condotto un esame completo della letteratura scientifica ed è giunto alla conclusione che le capacità paranormali dei moribondi suggeriscono l'esistenza di un'anima immortale, in grado di trascendere il tempo e lo spazio. Altri ricercatori sono giunti alla medesima conclusione. Sia grazie a propri studi empirici sia grazie all'esame di ricerche altrui, c'è nella comunità scientifica una convinzione crescente nell'esistenza dello spirito umano" (Morse 1994: 190).

Oggi, gran parte delle scoperte fatte a proposito della comprensione della vita dopo la morte proviene dai medici i quali, attraverso il loro lavoro sulle particelle subatomiche, si stanno rendendo conto dei limiti dei paradigmi scientifici attuali. Gruppi di scienziati, matematici e professori universitari di tutto il mondo stanno lavorando per rendere noti i risultati di esperimenti condotti sulle particelle subatomiche e di calcoli matematici in grado di fornire una spiegazione scientifica dei cosiddetti fenomeni paranormali.

La fisica moderna adesso insegna che gli atomi sono costituiti da vuoto per il 99,99999% - e che la distanza tra un elettrone e il suo nucleo è proporzionale alla distanza tra la Terra e il Sole. E si ritiene anche che gli elettroni, i protoni e i neutroni, le particelle di cui si compone l'atomo, siano energia piuttosto che materia.

L'astrofisico Michael Scott dell'Università di Edimburgo afferma che:

"i progressi nel campo della fisica quantistica hanno delineato una descrizione della realtà che ammette l'esistenza di universi paralleli. Composti di sostanze reali, si ritiene che essi non interagiscano con la materia del nostro universo."

Il Professor Fred Alan Wolf sembra concordare con queste scoperte. Nel suo libro L'Universo Spirituale: Come la Fisica Quantistica Prova l'Esistenza dell'Anima (The Spiritual Universe: How Quantum Physics Proves the Existence of the Soul) egli sostiene:

"per quanto possa sembrare fantastico, la nuova fisica chiamata meccanica quantistica indica l'esistenza, fianco a fianco a questo mondo, di un altro mondo, di un universo parallelo, di un duplicato che è in qualche modo leggermente differente e allo stesso tempo uguale. E non solo di due mondi paralleli, ma di tre, quattro o anche di più! In ciascuno di questi universi, voi, io e tutti gli altri che vivono, sono vissuti, vivranno e saranno mai vissuti, sono vivi!" (Wolf 1996).

Per molti scienziati, la prove dell'esistenza dell'Aldilà sono schiaccianti. Ma come ho affermato prima, NON c'è un solo scienziato che sia riuscito a dimostrare che l'Aldilà non esiste.
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23/05/2013 10:11

Nei post precedenti si è parlato di Alexandra David-Neel e della creazione di una forma pensiero chiamata Tulpa, anche in occidente esiste la credenza che sia possibile creare tramite il pensiero delle entità dotate di "vita" mi riferisco alle Eggregore, lascio per il momento i due riferimenti Wiki come spunto per approfondire in seguito.


Tulpa è un termine della lingua tibetana usato in ambito buddhista e, soprattutto, meditativo.
Il significato della parola definisce un'entità incorporea creata attraverso particolari metodi meditativi sviluppati dai monaci, soprattutto i grandi lama tantrici. Secondo tali credenze l'essere, che vive nel piano astrale, può essere visualizzato sotto molteplici aspetti, soprattutto quello animale, da altri monaci raccolti in meditazione.
Esistono narrazioni di combattimenti effettuati attraverso tali creature come rappresentazione morfologica della volontà del loro creatore.



it.wikipedia.org/wiki/Tulpa


Nell'occulto, il termine eggregora o egregora (dal greco ἐγρήγοροι, "vigilatori", traslitterato anche in grigori), si riferisce a un'entità incorporea creata attraverso particolari metodi di meditazione, in grado di influenzare il pensiero di un gruppo di persone.

Secondo alcuni filoni dell'occultismo, le eggregore possono essere create anche inconsapevolmente da un pensiero ossessivo e possono nuocere alla persona di cui sono parassite, sottraendole energia vitale.

Etimologia

La parola ἐγρήγοροι compare nella Septuaginta,[1] così come nel Libro dei Giubilei e nel Libro di Enoch.
Eliphas Lévi, ne Il grande Arcano del 1868 identificò gli "eggegora" con la tradizione riguardante i padri del Nefilim, descrivendoli come "esseri terribili" che "ci schiacceranno senza pietà, perché sono inconsapevoli della nostra esistenza".
Il concetto di "eggregora" come una forma-pensiero di gruppo è stato sviluppato nelle opere della Golden Dawn e della Rosa Croce ed è stato oggetto di scritti di autori come Valentin Tomberg.

[1] it.wikipedia.org/wiki/Septuaginta



it.wikipedia.org/wiki/Eggregora

24/05/2013 11:12

ESPERIENZE PROSSIME ALLA MORTE

Articolo di James H. Austin (Professore Emerito di Neurologia nella Facoltà di Medicina dell’Università del Colorado, a Denver).
Fonte: www.innernet.it/esperienze-prossime-alla-morte/

La maggior parte degli individui che vive un’esperienza di quasi morte ha ancora la sensazione di stare trattenendo almeno qualcosa del proprio essenziale io personale. Questo io personale è di solito il principale osservatore esterno della scena. Uno studio delle dinamiche e della neurofisiologia delle esperienze prossime alla morte.

Esperienze di “quasi morte” e atteggiamenti di “morte lontana”

"Tutte le scelte sono influenzate dal modo in cui la personalità considera il suo destino, e il corpo la sua morte. In ultima analisi, è il nostro concetto di morte che decide o risponde a tutte le domande che la vita ci mette davanti… Da qui deriva anche la necessità di prepararci a essa."
Dag Hammarskjold

Il nostro concetto di morte influenza il modo in cui viviamo? Se Hammarskjold avesse ragione, sarebbe meglio che ognuno di noi elaborasse una sua valida idea sulla morte, preparandosi a essa senza indugiare sui suoi aspetti morbosi. Più facile a dirsi che a farsi.



Un secolo fa, Albert Heim ha riassunto nel seguente modo i racconti di trenta persone che improvvisamente si sono trovate davanti alla morte. La loro ordalia venne provocata da lunghe cadute dalle cime alpine. Dopo essersi trovati a un passo dalla morte, questi superstiti hanno raccontato di aver provato, in quel momento, “un senso di grave tranquillità, un’accettazione profonda e uno stato prevalente di acutezza mentale e di senso di sicurezza. L’attività mentale divenne enorme, cento più volte più veloce o intensa. Le relazioni tra gli eventi e le loro probabili conseguenze venivano viste con grande chiarezza.

Il tempo si espanse grandemente. L’individuo non era confuso, ma agiva con la velocità di un fulmine e dopo un’accurata valutazione della situazione. In molti casi, le persone rividero in un lampo tutto il proprio passato. Alla fine, al momento della caduta, si udì spesso una musica bellissima e si ebbe la sensazione di precipitare in un magnifico paradiso blu, con nuvolette rosate (nota 1)”.

Heim era un alpinista e un professore di geologia, oltre che uno dei primi teorici delle esperienze “di vetta”. Ma Charles Darwin aveva vissuto, ancora prima, un rapido flusso mentale durante una breve caduta, da bambino. Perciò, potremmo definire tali eventi minori – un flusso impetuoso di pensieri verso l’estremità darwiniana dello spettro – come esperienze di “quasi-vita”. Esse sono molto più semplici delle altre sequenze di fenomeni che Heim avrebbe descritto dettagliatamente.

Dunque, Heim, nonostante la sua caduta fosse stata molto più lunga e pericolosa, disse di “non aver sperimentato alcuna traccia di ansia o dolore”. Anzi, accettò “senza paura l’ineluttabilità della morte. Tutto era andato così, e sembrava giustissimo. Avevo la sensazione di essermi sottomesso alla necessità (nota 1)”.

In quei primi secondi, come Darwin, anche Heim sperimentò un flusso impetuoso di pensieri e immagini usciti casualmente dalla memoria. Ma presto, nel corso della sua più lunga e temibile caduta, si verificarono altri eventi mentali.

Questi ultimi sono stati da allora chiamati “esperienze di quasi morte”. La minaccia è reale; la morte, imminente. L’ordalia è sconvolgente, se non spaventosa. Le nuove difficoltà fisiologiche spingono in primo piano dimensioni extra psicologiche. Per esempio: il tempo esteriore rallenta; quello interiore va a tutta velocità; gli eventi sembrano accadere al rallentatore. Questo tipo di deformazione temporale ritorna anche nella maggior parte dei racconti dei 104 superstiti studiati da Noyes e Kletti (nota 2). Quasi la metà di questi soggetti si staccò dal corpo, e più di un terzo sperimentò anche una sequenza-lampo di vecchi ricordi.

Talvolta, per descrivere il flusso di questi spezzoni vividi e isolati di memoria, si usa liberamente il termine “panoramico”. Ma in realtà i racconti parlano di una grande varietà di istantanee uscite da tutto il passato dell’individuo. Quindi, il termine “panoramico” fa riferimento a eventi isolati, in porzioni di tempo, senza continuità narrativa. Non vuol dire che l’individuo gode di un panorama a trecentosessanta gradi di tutto ciò che lo circonda, allo stesso momento, come può succedere in una visione di grande assorbimento (nota 4). In realtà, per usare le parole di Heim, “Ho visto tutta la mia vita attraverso molte immagini, come su un palcoscenico a una certa distanza da me”.

Solo a questo punto, dopo essere passati attraverso queste istantanee iniziali di avvenimenti del passato, alcuni soggetti entrano nella fase successiva. Si tratta davvero di “un altro mondo”, dalle caratteristiche difficili da descrivere. Per circa un terzo dei soggetti, l’esperienza adesso sembra produrre un grande senso di armonia, unità o intelligenza, dando la sensazione di essere al di là del tempo, in una condizione immutabile.

È risaputo che simili stati “oltremondani” accadono anche sul lungo cammino spirituale verso l’illuminazione. Quindi, dobbiamo chiederci: cos’altro c’è di diverso nei soggetti che hanno “estensioni mistiche” in quest’ultima fase dell’esperienza di quasi morte? Con poche eccezioni, sono le stesse persone di cui in seguito si è pensato che, in quel momento, abbiano avuto qualche disturbo nel funzionamento del cervello. Cioè, esse stavano annegando, prive di ossigeno, in uno shock vasomotorio con scarsa pressione sanguigna, o in qualcosa di altrettanto grave. Per contrasto, le componenti mistiche tendevano a non comparire se la caduta era priva di complicazioni. Né questa fase “mistica” accadeva durante eventi traumatici se la persona non aveva riportato gravi ferite alla testa, al torace o in altre parti del corpo.

Quando la sopravvivenza è in gioco, emergono potenti forze interiori. Nonostante ciò, molti soggetti si sentono impotenti di fronte alle circostanze inesorabili. A questo punto, essi potrebbero sperimentare quello che il professor Heim ha splendidamente descritto come il sentirsi “sottomessi alla necessità”. Ma si osservi: a questo punto si tratta perlopiù di una rinuncia passiva al controllo. Non siamo di fronte a una ben ponderata rinuncia all’io.

È un processo che, poiché accade senza l’intervento dell’io volitivo, provoca di base una dissoluzione spontanea del vecchio, egocentrico io. E sarà a questo punto della resa – dell’incondizionata e assoluta resa – che tutte le paure transitorie si placheranno da sole. Ora, sparito il sé dal campo di battaglia, la morte viene accettata con assoluta calma (nota 1). Segue una profonda tranquillità.

Durante la loro ordalia di quasi morte, i soggetti non sono turbati dalla perdita dell’io o da altri sintomi di spersonalizzazione. Piuttosto, in seguito ricorderanno con gratitudine la calma sperimentata. Di più: in alcuni casi, questa mancanza di emotività davanti al pericolo diventerà una costante nella vita. Dopo, questi sopravvissuti ricordano l’episodio senza coinvolgimento.

Lo studio di G. Gallop Jr. sulle esperienze di quasi morte includeva interviste con circa 1500 adulti (nota 6). In questa rassegna di persone che avevano incontrato per davvero la morte, quante entrarono in un’altra dimensione della consapevolezza? Solo una minoranza, circa il 35%. Inoltre, la maggior parte delle caratteristiche individuali di ciascuna esperienza non era specifica. Ovvero: altri soggetti avevano avuto reazioni simili in molte altre situazioni della vita. Anche la maggior parte di queste circostanze ordinarie aveva messo a repentaglio la vita di quei soggetti? No. Quindi, trovarsi davvero vicini alla morte non è il fattore critico.

Ebbene, i ritiri di meditazione sono tra le molte altre situazioni che provocano stati alterati di consapevolezza. Alcuni ritiri di meditazione possono essere molto duri, ma non pongono alcuna minaccia reale alla vita. D’altra parte, quando i meditatori raggiungono il loro livello più profondo e fondamentale di calma e chiarezza mentale, eventi relativamente nascosti (o più evidenti) possono rappresentare uno stimolo momentaneo. Data questa introduzione, quale gruppo di caratteristiche emerse dallo studio di Gallup?

1) La percezione di essere fuori dal corpo. Questa è la sensazione che si ha quando la propria consapevolezza osservatrice è separata dal corpo fisico. Il nove per cento degli adulti riferisce di aver sperimentato questo stato durante la propria esperienza di quasi morte.

2) Un’acuta percezione visiva, sia dell’ambiente circostante che degli eventi che vi avvenivano (8%).

3) Suoni provenienti da persone in carne e ossa nei dintorni, o da un’altra fonte (6%).

4) Una pace straripante e la scomparsa del dolore (11%).

5) Una luce brillante e accecante (5%).

6) Una veloce rassegna o riesame della propria vita (11%).

7) La netta sensazione di trovarsi in un mondo completamente diverso (11%).

8 ) La sensazione che sia presente una persona speciale (8%).

9) La percezione di una specie di tunnel (3%).

Consideriamo le prime due caratteristiche dell’elenco. Le esperienze “fuori dal corpo” possono durare forse mezzo minuto (alcune sembrano durare fino a mezz’ora). La maggior parte delle volte accadono in momenti di coercizione emotiva e in circostanze altre da un’esperienza di quasi morte( nota 7). Per esempio, alcune persone, mentre meditano o dormono, hanno la sensazione che il centro della loro consapevolezza si sia spostato, situandosi fuori dai confini del corpo fisico (nota 8). In questi momenti, i soggetti hanno la sensazione di stare fluttuando verso l’alto, in modo che, guardando verso il basso, vedono il proprio corpo. L’esperienza sembra autentica, non un sogno (nota 9).

La maggior parte degli individui che vive un’esperienza di quasi morte ha ancora la sensazione di stare trattenendo almeno qualcosa del proprio essenziale io personale (nota 10). Questo io personale è di solito il principale osservatore esterno della scena. Esso osserva “l’altro” io, quello fisico, che sembra staccato e lontano. Talvolta, anche l’essenziale io personale viene proiettato sulla scena. In tal caso, esso viene guardato da un altro, doppio io personale. Il fenomeno per cui una persona vede se stessa (una sorta di diplopia mentale) viene chiamato autoscopia. È degno di nota il fatto che l’autoscopia può avere luogo anche in quei pazienti epilettici la cui crisi comincia nel lobo temporale del cervello (nota 11).

Ma in alcuni soggetti la dissoluzione dell’identità personale si spinge ancora più in là. E dopo di essa, accadono molti altri fenomeni negli stadi successivi dell’esperienza di quasi morte. Per esempio, nell’istante successivo si può avere una sensazione di espansione. In tal modo, si verifica una fusione con qualcosa di paragonabile a una “immanenza, senza tempo né spazio, dell’essere universale in un centro particolare”. In alcuni soggetti, la sensazione di fusione con un essere universale assume allora “una qualità e uno splendore” più elevati, per quanto alcuni soggetti parlino di un fallimento nel raggiungere “tutta la vastità e il potere di Dio” (note 12, 13).

È possibile trovare significati sia psicologici che fisici nella vecchia frase “vedere la luce”. Secondo studi recenti, le persone che riferiscono di aver visto una luce di brillantezza intensa sono anche coloro che con più probabilità si sono avvicinate maggiormente alla morte vera (nota 14). E la personalità di chi ha vissuto l’esperienza della luce brillante tende successivamente a essere quella più trasformata (nota 15).

Fortunatamente, Heim è sopravvissuto alla sua caduta alpina di 2000 metri, potendo così descriverci gli eventi accaduti durante essa. Ma resta una perplessità. Molti sono sfiorati dalla morte, tuttavia pochi sperimentano lo spettro completo delle principali caratteristiche dell’esperienza. Di fatto, secondo le stime più recenti, solo circa il 22% di coloro che hanno sperimentato l’ordalia di una “chiamata molto vicina”, e non il 35%, vive l’esperienza di quasi morte (nota 16). Perché così poche persone sperimentano uno stato alterato? Una spiegazione plausibile è che eventi bruschi e sconvolgenti, di qualsiasi tipo, provocano tali stati solo se accadono in un momento particolare del ciclo biologico di una certa persona, e in un determinato contesto (nota 4).

Trasformazioni successive

Un fatto importante è chiaro: alcune esperienze di quasi morte in seguito trasformano la vita del sopravvissuto. Quest’ultimo può letteralmente sentirsi “rinato”, e cominciare una genuina ricerca spirituale (nota 17). Da questo punto di vista, l’ultima fase di un’esperienza eccezionale diventa un risveglio profondo. È un’illuminazione che può ricordare un’esperienza mistica altrimenti convenzionale, ovvero senza il preludio di un chiaro pericolo (nota 10). Circa il 64% di un gruppo di 215 soggetti vicini alla morte ha completamente mutato atteggiamento sulla vita e la morte (nota 18). In che modo? Beneficiando delle seguenti caratteristiche: 1) una ridotta paura della morte; 2) una sensazione di relativa invulnerabilità; 3) la sensazione di avere un’importanza o un destino speciali; 4) la convinzione di essere stati prescelti dal fato o da Dio, e 5) una maggiore fiducia nella propria esistenza.

Un contatto ravvicinato con la morte innalza la consapevolezza generale. Da allora in poi, la persona tende a sviluppare molti atteggiamenti supplementari. Essi includono: 1) la consapevolezza della preziosità della vita; 2) una sensazione di urgenza e una nuova scala delle priorità; 3) una maggiore consapevolezza del momento presente; 4) una maggiore accettazione degli eventi naturali a vasta scala sui quali, in realtà, non si ha alcun potere.

Esperienze del letto di morte

Oggigiorno, il pubblico conosce molto bene le esperienze di quasi morte (“NDE”, in inglese). Data la grande pubblicità, bisogna osservare un fatto. Molte persone non sono mai state vicine alla morte “vera” come forse una volta sono state portate a credere (nota 14).

Ma ora conosciamo un immutabile insieme di circostanze sulla fine autentica del ciclo della vita. Gli eventi culminano nell’esperienza del letto di morte. La maggior parte di questi pazienti terminali – i malati di cancro, per esempio – hanno a disposizione ore, se non mesi, per riflettere sull’irrimediabilità della propria condizione. Ancora una volta, un primo risultato è un innalzamento prolungato della consapevolezza e delle altre funzioni mentali. Questo è stato ben descritto da Samuel Johnson, secondo il quale, quando mancano una quindicina di giorni all’impiccagione, la mente diventa meravigliosamente concentrata. Nella nostra epoca, Levine osserva come “molte persone affermano di non essere mai state tanto vive come quando stanno morendo”(nota 19).

Il paziente quasi terminale la cui consapevolezza sia più vivida può sviluppare molti fenomeni psichici. Almeno alcuni di essi si rivelano quando lo stato mentale del paziente è per il resto normale, e quando gli effetti di droghe, di una scarsa pressione sanguigna, di squilibri dei fluidi e dell’elettrolito possono essere esclusi. A ogni modo, l’insonnia dovuta alla preoccupazione può ovviamente essere una causa concomitante. Alcune di queste superficiali “accelerazioni” non sono compresse in pochi secondi, come accade nel tumulto della breve esperienza di quasi morte.

Piuttosto, accadono in forma più subacuta. E ora, in momenti di grande intensità, il complesso delle funzioni sensoriali di un individuo diventa ricettacolo di apparizioni o visioni di stati paradisiaci. Inoltre, anche durante il sonno, i sogni del paziente diventano ricchi di simbolismi. Un esempio è dato dalla descrizione di Carl Jung dei sogni e allucinazioni che ebbe in ospedale, dopo il suo attacco di cuore (nota 20).

Molti sopravvissuti alla breve e acuta esperienza di quasi morte sono stati profondamente influenzati dal dramma attraversato. Allo stesso modo, sono rimasti impressionati i testimoni rimasti a vegliare accanto al letto di morte dell’amico o del parente. È comprensibile il fatto che questi due tipi di esperienze intime – quelle di prima mano e quelle di seconda mano – hanno suscitato tante interpretazioni esagerate da parte di un pubblico impressionabile, nei secoli passati. Oggi – per quello che vale – sono relativamente pochi gli scienziati che accettano che la vita continui “in un altro mondo oltre la tomba”. Ancora meno sono quelli secondo cui le esperienze di quasi morte costituiscono “un bagliore veritiero del futuro”. Ma gli scienziati sono scettici per natura: appena il 16% crede in qualche tipo di vita dopo la morte, in contrasto al 67% del resto della popolazione (nota 16).

Tuttavia, se si trovano di fronte a quella che sembra la morte vera, anche i neuroscienziati osservano che il loro atteggiamento può mutare. Quando il neurologo Ernst Rodin venne anestetizzato, sperimentò non soltanto la sensazione, ma la vera e propria certezza assoluta della propria morte. Solo in seguito, quando uscì dall’anestesia, fu in grado di riconoscere che tale certezza era un’illusione21. È possibile che alcune nostre certezze siano radicate nell’illusione? Questa è una lezione impressionante per tutti. E nessuna esperienza personale è in grado di distruggere lo specchio delle nostre illusioni tanto quanto la morte di tutti i vecchi costrutti dell’io.

“Atteggiamenti di morte lontana” e loro paralleli

La realtà è che quando tutte le vecchie finzioni dell’io si dissolvono, la morte perde il suo mordente terrificante. Alcune persone cominciano precocemente questo processo educativo; altre lo rinviano alla fine della vita. Questo secolo ha visto molte persone sane e normali – sia giovani che anziane – intraprendere il lungo cammino della meditazione. Col tempo, una serie di episodi comincia a diminuire la loro precedente paura della morte. Queste persone cominciano a comprendere di essere impermanenti e transitorie come le foglie di un albero.

Invecchiando, e forse diventando più sagge, acquisiscono un’altra prospettiva. In un certo senso, quest’ultima potrebbe essere definita un “atteggiamento di morte lontana”. Questo vuol dire che i meditatori più esperti stanno cercando di negare la morte? O che stanno semplicemente spingendo ancora più in là i loro vecchi concetti sulla morte? No. Come Hammarskjold, la stanno affrontando, accettando la sua ineluttabilità e interiorizzando la sua realtà con più calma.

I test di laboratorio confermano questo cambiamento di mentalità. L’idea della morte è molto meno disturbante per quei giovani che hanno già imparato ad aprirsi a stati alterati di consapevolezza. Difatti, parole attinenti alla morte provocavano solo una leggera reazione fisiologica (nel battito cardiaco e nella conduttanza delle pelle) nei meditatori buddisti seguaci delle tradizioni zen o tibetane. I meditatori avevano bassi punteggi anche sulla scala dell’ansia della morte8. Intervistati su quest’ultima, le loro risposte suggerivano che avevano già fatto a meno della nozione di un io personale. A quel punto, la morte non era più né un’ansia attuale né qualcosa di cui bisognava preoccuparsi nel lontano futuro.

In che modo queste persone avevano sviluppato un atteggiamento così coraggioso, “di morte lontana”? Esso rifletteva sia la loro educazione precedente finalizzata alla “morte dell’ego”, sia la concreta esperienza del fatto che l’io egocentrico era solo un’illusione. In più, avendo imparato a focalizzarsi sul momento presente, questi praticanti erano in grado di cominciare a interiorizzare e accettare tutto ciò che poteva avvenire in questo momento, affrontandolo e passando all’istante successivo. E poi, a quello dopo ancora…

Verso una morte migliore?

I soggetti che seguono pratiche meditative lentamente imparano a vivere giorno dopo giorno a livelli più essenziali di consapevolezza. Ma supponiamo di essere arrivati all’ultimo atto della nostra vita: ora, alla fine della vita biologica, può essere ancora utile lo stesso atteggiamento basilare di attenta introspezione? Una persona può imparare a morire in modo migliore? E se sì, in che modo?

A questo proposito, alcuni pazienti ci raccontano che la malattia terminale è la loro ultima, grande maestra. Adesso devono superare il corso finale, richiesto a tutti. Per alcuni, esso diventa una sorta di “corso accelerato” all’ultimo minuto, il più rigoroso di tutti i ritiri religiosi. Uno slancio naturale distrugge tutte le finzioni, riducendo la vita ai suoi componenti essenziali. Per questi pazienti, la morte diventa l’ultima opportunità per lasciare cadere le vecchie convinzioni profonde e artificiali. Alla fine, possono accettare tutto ciò che arriva, vivendo intensamente ogni istante.

Grazie alla chiarezza derivante da questa nuova profondità, molti pazienti alla fine cominciano a capire la vita. Alcuni scoprono che la sofferenza passata e il disagio attuale hanno radici nelle terrificanti invenzioni dei loro vecchi costrutti egoici. Per certe persone, la possibilità di usufruire di queste nuove, profonde intuizioni, sembra facilitare gli ultimi istanti, aiutandole a morire “di morte migliore”. Inoltre, le intuizioni più profonde possono portare alcuni pazienti così avanti sul cammino spirituale da far loro sperimentare lo stato di apertura totale dell’Essere Assoluto che sembra risiedere al di là (nota 4).

Il racconto della morte di Yaeko Iwasaki, vero e commovente, è un raro esempio di questa evoluzione. Questa seguace del buddismo zen, all’età di venticinque anni, seppe di avere solo cinque giorni prima di soccombere alle complicazioni di una malattia alle valvole del cuore. Ma la sua totale concentrazione durante questi ultimi giorni in cui fu costretta a letto le permise di accedere a una serie di stati sempre più profondi, fino a raggiungere l’illuminazione autentica (nota 22).

Ogni giorno, ad altri capezzali – nelle case, gli ospizi e gli ospedali – un numero crescente di professionisti della salute assiste da vicino i pazienti morenti. Questi preparati direttori spirituali guidano i malati terminali, preparandoli non solo alle difficoltà, ma anche alle scoperte che potrebbero fare nella loro ultima esperienza di apprendimento. Per questi insegnanti, esiste un ovvio parallelo con i profondi cambiamenti che vedono accadere nei loro malati terminali. Cosa vedono? I pazienti lasciano cadere la paura della morte, dissolvendo una finzione dietro l’altra, affrontando la realtà a testa alta e accettando tutto ciò che viene. Molti di questi assistenti sono in grado di riconoscere questo processo. Lo hanno osservato dentro di sé, durante la loro lunga ricerca meditativa.

Quindi, in senso generale, le esperienze di apprendimento “a esordio tardivo” degli ultimi istanti di vita di una persona potrebbero cominciare ad assomigliare a eventi possibili anche molto prima, con altri mezzi. In realtà, come conclude Levine, “Gli stadi di smarrimento e morte sono chiaramente paralleli agli stadi di sviluppo spirituale” (nota 23).

Una prospettiva neurologica

"Non so cosa intendi quando parli di Grande Mente e Piccola Mente. Prima di tutto, c’è il cervello."
Jiddu Krishnamurti

Abbiamo considerato uno spettro di fenomeni. Esso va dalle esperienze di quasi-vita a quelle sul letto di morte. Le mitologie restano di conforto, ma molti lettori potrebbero essere curiosi di conoscere le spiegazioni biologiche di tali esperienze. È importante sapere cosa accade nel cervello durante questi episodi che mettono a rischio la vita? Sì. Ha importanza, perché le nostre ipotesi avranno conseguenze che potranno aiutarci a spiegare perché simili eventi accadono anche nel cammino spirituale.

Gli stati tendono a manifestarsi in sequenze. E le loro psicofisiologie si evolvono con il tempo. Quindi, innanzitutto, per affrontare i meccanismi base dell’attuale gamma di esperienze attinenti alla morte, dobbiamo disporre i loro insiemi di fenomeni in sequenza.

Iniziamo dalla caduta del giovane Darwin. Nel suo caso, si trattò di un’improvvisa caduta di appena due metri e mezzo. Tuttavia, l’immediato risultato fu una vivace cascata di eventi fisiologici. Il primo di questi rifletteva una rapida neurotrasmissione. Questa fase implica un impulso attraverso almeno due dei sistemi ascendenti di comunicazione nel cervello. Uno rilascia acetilcolina; l’altro aminoacidi eccitatori, come il glutammato. Scatta un processo parallelo. Dalla sua matrice sorge l’idea – non del tutto sbagliata – che il tempo “interiore” del cervello sia molto più veloce.

Questo crea la sensazione che gli eventi esterni si svolgono al rallentatore e con grande chiarezza. Si può anche pensare che nuovi impulsi possano entrare dal mondo esterno, e velocemente raggiungere la formazione ippocampale. Là, molto addentro nel lobo temporale, essi possono trovare le capacità dei circuiti ippocampali già stimolate da un processo ad alta velocità, che libera spezzoni casuali di vecchi ricordi in porzioni di tempo (nota 4).

Questo cervello è stato sconvolto. Circostanze avverse improvvise e pericolose stimolano eccessivamente molte sue cellule nervose. Il cervello in allerta passa da una velocità di elaborazione più lenta all’attuale superveloce. Nel fare questo, alcune delle sue più profonde reti di funzionamento possono essere spinte temporaneamente fuori fase. E tali sistemi dissociati – scissi durante improvvise transizioni dinamiche – diventano liberi di unirsi, brevemente, in nuove configurazioni fisiologiche. Le connessioni da e per l’ipotalamo sono importanti fonti di tali trasformazioni. Altrettanto può dirsi di molti gruppi di cellule nervose più grandi disposti in basso, nel tronco cerebrale, e delle loro estensioni superiori (nota 4).

Durante i primi istanti di un’esperienza di quasi morte, in un vasto numero di sinapsi nervose si verifica un tumulto. Esso libererà rapidamente, nel cervello, ondate dei potenti trasmettitori chimici del cervello. Tra essi, le sue ammine biogene (norepinefrina, dopamina, serotonina ecc.) e diversi peptidi (gli oppioidi endogeni, simili alla morfina: CRF, ACTH ecc.) (nota 14).

Gli impulsi che corrono lungo le più profonde vie nervose della vista possono dare la sensazione di un’avvolgente luce brillante. La neuroscienza non ha bisogno di chiamare in causa, come agenti produttori dell’«amorevole luce bianca», speciali forze elettromagnetiche provenienti da una fonte non specificata fuori dal corpo (nota 15). Accadranno poi altri eventi, i quali estenderanno la loro influenza fino al midollo. Qui, per esempio, vi sono le grandi cellule nervose del nucleo paragigantocellulare, sollecitate da una vasta gamma di stimoli pericolosi (nota 4).

Adesso diventa possibile immaginare in che modo un improvviso calo della pressione sanguigna – uno shock – può provocare, come effetto secondario, ulteriori risposte allo stress dentro il cervello. Infatti, se la pressione sanguigna della persona ferita dovesse calare, verrebbero stimolate anche alcune grandi cellule nervose di questo nucleo, come parte della reazione automatica del cervello per riportare il livello della pressione su valori normali. In pochi millisecondi, gli impulsi di questo nucleo paragigantocellulare spingeranno le cellule nervose del locus coeruleus a liberare la loro norepinefrina in tutto il sistema nervoso centrale.

Questa norepinefrina contribuirà a dare il via a un’altra serie di risposte allo stress da parte del cervello (nota 4). Tali intrinseche risposte allo stress influenzano le funzioni di vari livelli, tra cui molte che si attivano attraverso la parte ipotalamica del sistema limbico. È notevole, comunque, che la paura abbandona la consapevolezza durante le ultime fasi della tipica esperienza di quasi morte. Questo vuol dire che alcune fonti tradizionali della paura primaria, come quelle vicino all’amigdala, sono state direttamente inibite o non hanno più accesso alla consapevolezza.

I nostri antenati erano dei sopravvissuti. La sopravvivenza dipendeva dalla misura in cui riuscivano ad azionare processi ad alta velocità, evolvendosi in quell’esplosione di azioni supplementari in grado di eludere circostanze avverse. Questi antichi sistemi fisiologici restano i nostri alleati. Unendo le forze con altri livelli, aggiunti in seguito, le loro reti sono ancora capaci di creare nei cervelli moderni l’impressione che il tempo si espanda, così come lo spazio, nella chiarezza di un presente senza paura. La persona in pericolo percepisce “più” secondi, più tempo per compiere quei disperati, difficili sforzi per scappare.

In seguito, quando ogni ciclo biologico della vita si avvia alla sua inevitabile conclusione, accadrà un turbine di reazioni fisiologiche terminali. Da dove vengono i risultanti scenari psichici? Essi possono attingere alle grandi capacità immaginative poste al centro della psiche umana fondamentale. Qui, tutte le persone sono commediografi, romanzieri e sognatori “ad libitum”. Dobbiamo inventare qualcosa che abbia uno scopo, dal punto di vista umano, per ogni evento naturale sulla soglia finale della morte? Le nostre interpretazioni devono consistere in simboli e idee tratte dalle religioni istituzionali, dalla filosofia, la metafisica o i mondi dello spirito soprannaturale?

È tempo di tornare a una visione più semplice dei fenomeni mistici, specialmente di quelli che rientrano nelle ultime sequenze delle esperienze di quasi morte. Abbiamo ragione di credere che la maggior parte delle forme e contenuti di queste ultime saranno colorati dalla storia personale e dai sistemi culturali di ciascun soggetto (nota 16).

Oggi, tra i giovani e gli anziani che percorrono il cammino spirituale, molti praticano vari tipi di meditazione, formali e informali. Queste persone proveranno inevitabilmente interesse alle scoperte sui molti stati alterati qui descritti. Questo tipo di esperienze accade velocemente, durante circostanze non-meditative (ma in risposta a situazioni di pericolo) in soggetti che per la maggior parte non hanno mai meditato né assunto droghe psichedeliche. E chi percorre il cammino spirituale sarà curioso di sapere, inoltre, che anche tali esperienze “mistiche” a rischio, quando arrivano, possono all’inizio generare chiarezza, rinforzare i processi e dissolvere la paura, e in seguito produrre mutamenti durevoli e salutari nella personalità umana.

Un praticante buddista ha dei motivi in più per interessarsi al significato religioso o psicodinamico delle esperienze di quasi morte (note 24, 25)? Almeno dal punto di vista pragmatico della scuola zen, la domanda chiave non è: c’è vita dopo la morte? O: esiste la vita in qualche “oltre-vita”? L’accento, invece, è: come dobbiamo vivere questa vita, dopo la nascita, in questo istante, al massimo delle sue potenzialità? Non vivere in qualche sogno a occhi aperti; non cercare qualche illusoria “realtà virtuale”: ma vivere pienamente questa vita, “on line”, fino ai suoi momenti finali.


Note e riferimenti bibliografici:

1. R. Noyes (1972): The experience of Dying. “Psychiatry” 35:174-84.

2. R. Noyes. R. Kletti (1976): Depersonalization in the Face of Life-threatening Danger: A description. “Psychiatry” 39:19-27.

3. R. Noyes, R. Kletti (1977): Panoramic Memory: A response to the therat of death. “Omega” 8:181-94.

4. Questo argomento è sviluppato in J. Austin (1998): Zen and the Brain. Toward an Understanding of Meditation and Consciousness. Cambridge, Mass., MIT Press.

5. S. Grof, J. Halifax (1978): The Human Encounter with Death. New York, Dutton, 133-134.

6. G. Gallup Jr. (1982): Adventures in Immortality. New York, McGraw-Hill.

7. G. Gabbard, S. Twemlow, F. Jones (1981): Do “Near-death Experiences” occur only near Death. “J. Nervous & Mental Disease” 169:374-7.

8. C. Garfield (1975): Consciousness Alteration and Fear of Death. “J. Transpers. Psychol.” 7:147-75.

9. C. Tart (1976): Out-of-the-Body Experiences. In: Mitchell, E. (Ed.) Psychic Exploration. A Challenge for Science (Ed., White, J.). New York, Capricorn-Putnam’s Sons. 349-73.

10. K. Ring (1984): Heading Toward Omega. New York, Morrow.

11. O. Devinsky, E. Feldman, K. Burrowes, E. Bromfield (1989): Autoscopic Phenomena with Seizures. “Arch. Neurol.” 46:1080-8.

12. K. Ring (1984): The Nature of Personal Identity in the Near-death Experience: Paul Brunton and the ancient tradition. “Anabiosis” 4:1;3-20.

13. La parola “essere” va sempre valutata con cura. Uno stato di “essere assoluto” può anche riferirsi a uno speciale, avanzato stato alterato di consapevolezza.

14. J. Owens, E. Cook, I. Stevenson (1990): Features of “Near-death Experience” in Relation to Whether or Not Patients were Near Death. “Lancet” 336:1175-7 (La maggior parte dei pazienti in questo gruppo ha sperimentato funzioni cognitive superveloci”).

15. Nella nota 4 del capitolo 86 viene ipotizzata una spiegazione alternativa per l’«amorevole luce bianca». M. Morse, P. Perry (1992): Transformed by Light, New York, Villiard.

16. G. Roberts, G. Owen (1998): The Near-death Experience, “Brit. J. Psychiat.” 153:607-17.

17. B. Greyson (1983): Near-death Experiences and Personal Values. “Am. J. Psychiat.” 140:618-20.

18. R. Noyes (1980): Attitude Changes following Near-death Exdperiences. “Psychiatry” 43:234-41.

19. S. Levine (1982): Who Dies? An Investigation of Conscious Living and Conscious Dying. New York, Doubleday, 59.

20. C. Jung (1962): Memories, Dreams, Reflections (Ed., Jaffe, A.). New York, Pantheon, 196-7. In genere, Jung non considerava sogni le sue visioni.

21. E. Rodin (1980): The Reality od Death Experiences. A Personale Perspective. “J. Nervous & Mental Disease” 168:259-63.

22. P. Kapleau (1967): The Three Pillars of Zen. Boston, Beacon Press. 269-91.

23. S. Levine (1982): ibid. 234.

24. B. Greyson (1983): The Psycodinamics of Near-death Experiences. “J. Nervous & Mental Disease” 171:376-81.

25. Il lettore interessato troverà una recente discussione sull’esperienza di quasi morte in “The Journal of Near-death Studies” 16 (Fall, 1997): 3-95, interamente dedicato alle origini biochimiche e alla fenomenologia di questi eventi.
25/05/2013 09:48

UN PONTE TRA DUE MONDI

Fonte: www.altrogiornale.org/news.php?extend.7816

«Vita dopo la morte? Sarà, ma nessuno è mai tornato a raccontare cosa c’è dall’altra parte…». Quante volte abbiamo sentito ripetere questa battuta, quando in una conversazione volevamo dare un senso meno materialistico e prosaico alla vita e all’essere umano…
«Nessuno è mai tornato…» ma ne siamo proprio sicuri?
In realtà di testimonianze sull’esistenza umana oltre la soglia della morte ve ne sono state moltissime nel corso della storia, piú o meno attendibili e piú o meno articolate. Naturalmente, trattandosi di comunicazioni provenienti da un mondo profondamente diverso dal nostro – mancando il piano fisico – è evidente che il linguaggio non può essere il medesimo della terra. La persona che ha attraversato la soglia della morte tende a modificare molti dei punti di vista che aveva quando viveva incarnato in un corpo fisico, e questo in misura sempre maggiore quanto piú egli tende a distaccarsi dalla sua vita trascorsa; tuttavia, nei – sia pur rari – casi di comunicazioni serie, si può avere l’opportunità di ‘seguire’ per cosí dire, il cammino del defunto nel suo percorso post-mortem.
Tralasciando tutto l’ampio spettro delle testimonianze ‘medianiche’ in cui non è dato sapere chi sia realmente a comunicare, e anche la pur ricchissima letteratura sulla NDE (particolarmente interessanti ed approfonditi gli studi sulla Near-Death Experience di Raymond Moody), di persone, cioè, ritornate a vivere dopo essere morte per alcuni minuti o piú, e che hanno raccontato quanto hanno sperimentato in tale lasso di tempo, vi sono testimonianze attendibili e di lunga durata, tali da poter offrire una immagine dettagliata del percorso dell’anima umana dopo la morte fisica. Una di queste ci è stata lasciata da <-- Botho Sigwart, conte di Eulenburg, secondo figlio del diplomatico prussiano Philipp Graf zu Eulenburg e di Augusta, contessa di Sandels. Il padre Philipp, che aveva ricevuto il titolo di conte nel 1900, era molto dotato artisticamente, componeva, cantava ed era amico e consigliere dell’Imperatore Guglielmo II, il quale si recava spesso nella proprietà di famiglia a Liebenberg, a circa 50 chilometri da Berlino. Nato a Monaco il 10 gennaio 1884, Sigwart ereditò – insieme alla sorella piú piccola, Victoria, detta Tora, che divenne poi pianista – le disposizioni musicali paterne. Sigwart era talmente dotato che a soli 7 anni scriveva Lieder ad orecchio e a 8 anni componeva ed eseguiva Lieder e musica per pianoforte, spesso dinanzi all’Imperatore in visita a Liebenberg.


La famiglia riunita a Liebenberg (ca. 1900). Da sinistra in piedi:
Adine, il padre Philipp, il segretario Kistler, Friedrich-Wendt,
Sigwart. Sempre da sinistra seduti: la nonna Alexandine, Karl,
la madreAugusta, Lycki, la nonna Sandels e Tora

L’apprezzamento che Guglielmo II dimostrò al giovanissimo compositore fu tale che gli ordinò – Sigwart aveva allora 11 anni – delle variazioni su una marcia di Dessau, musica che fu successivamente eseguita e diretta da lui stesso a Vienna. Nel 1898 studiò organo al ginnasio di Bunzlau, in Slesia, e poi al ginnasio Luitpold, a Monaco, nel 1899, per trasferirsi infine a Berlino, al ginnasio umanistico Friedrich Wilhelm, dove conseguí la maturità nel 1902. Un anno prima, a soli 17 anni, aveva preso parte – su invito di Cosima Wagner, vedova di Richard e amica di famiglia – al Festival di Bayreuth, dove aveva avuto modo di dirigere l’orchestra, se pur durante le prove. Dal 1902 fece ritorno a Monaco dove studiò storia e filosofia fino al 1907, quando conseguí la laurea. Contemporaneamente al corso di laurea studiò musica con Ludwig Thuille e, successivamente, con Max Reger a Lipsia. Da allora iniziò a produrre composizioni musicali che sono ancora oggi disponibili.
Un viaggio di studio in Grecia risvegliò in lui una profonda passione per l’arte greca classica; in particolare la musica greca antica era per lui qualcosa di appassionante, tanto che musicò i Lieder di Euripide di Ernst von Wildenbruch, fino a farne una composizione operistica. Quest’opera – la cui esecuzione fu rimandata a causa dello scoppio della I Guerra mondiale – venne eseguita per la prima volta, con grande successo, a Stoccarda il 19 dicembre del 1915, cinque mesi dopo la morte di Sigwart. Nel 1909 sposò la cantante lirica Helene Staegemann, che gli diede un figlio, Friedrich, nato nel 1914, destinato anche lui ad una morte prematura; morirà, infatti, nel 1936, a soli 22 anni, nel corso di un’esercitazione militare. A Strasburgo ebbe occasione di conoscere Albert Schweitzer, anch’egli organista, con il quale terminò, nel 1911, i suoi studi musicali e cui dedicò un concerto per organo. Al circolo di giovani amici musicisti di Sigwart appartenevano anche Wilhelm Furtwängler e Artur Nikisch. La passione di Sigwart non era solo la musica ma anche la filosofia e l’esoterismo. Nella sua breve vita si interessò appassionatamente di religioni orientali, Buddhismo, Teosofia, sino a incontrare Rudolf Steiner nel 1906, seguendo da quel momento con trasporto l’Antroposofia.
Steiner era, infatti, amico dei conti di Eulenburg, ed era a volte ospite a Liebenberg; dal momento in cui lo conobbe, nella dimora di famiglia, Sigwart non perse occasione per seguirne le conferenze e per approfondirne l’opera. Condivise questo profondo interesse con i fratelli Lycki, Tora, Karl e con la cognata Marie. In tal modo vennero poste le basi per le comunicazioni che avrebbe iniziato a fare dopo la sua morte. Allo scoppio della I guerra mondiale Sigwart aveva 30 anni, e partí come volontario nell’esercito tedesco, con il profondo impulso di difendere la Patria in pericolo. Serví con il grado di sottotenente in un reggimento di cavalleria prima sul fronte occidentale e successivamente su quello orientale. Gravemente ferito ai polmoni il 9 maggio 1915, durante un attacco in trincea in Galizia, venne ricoverato in un ospedale militare a Jaslo dove morí il 2 giugno 1915. Nonostante le enormi difficoltà per la guerra in corso, secondo i suoi desideri, il suo corpo venne portato nel castello del padre a Liebenberg, dove fu sepolto sotto la grande quercia a lui molto cara. Il legame particolarmente profondo tra Sigwart e Marie fece sí che quest’ultima subisse un trauma profondo per la morte del cognato. Ad appena poche settimane dalla morte, Sigwart si mise in contatto con sua sorella Lycki, a lui molto legata, e successivamente anche con altre persone di famiglia.
Lycki cosí descrive ciò che provò quando iniziò a sentire che il fratello voleva mettersi in contatto con lei: «Nella solitudine e nel silenzio di questa giornata ho capito ciò che Sigwart si aspetta da me. Lui non vuole guidare la mia mano dall’esterno, ma sono io che devo aprire una porta dentro di me; allora sentirò le sue parole che poi devo trascrivere».
Le comunicazioni non avevano carattere medianico; Sigwart trasmetteva i suoi messaggi dall’Aldilà a persone non in trance ma perfettamente coscienti, che poi provvedevano a trascriverli. Lycki, poi Tora e piú tardi Marie, iniziarono allora a trascrivere i messaggi di Sigwart, che proseguirono per 35 anni. Dapprima la sorella nutriva chiaramente molti dubbi sulla autenticità dei messaggi che sentiva nascere dentro di sé e che man mano provvedeva a trascrivere. Ma le esortazioni del fratello e la straordinarietà di quelle comunicazioni, che le giungevano in piena coscienza e non tramite fenomeni di trance, la convinsero che si trattasse proprio dell’amato Sigwart che tentava di mettersi in contatto con lei. Sigwart le chiedeva di aprire la propria mente, lasciando penetrare quei messaggi, contrastando e superando ogni sorta di pur comprensibile afflizione per la sua scomparsa fisica. Consapevole dei giudizi negativi che il maestro di Sigwart, Rudolf Steiner, aveva sempre dato delle comunicazioni dall’Aldilà, e non ancora certa dell’autenticità dei messaggi, un giorno la famiglia mandò Marie da Steiner. Si recò dunque a Berlino – dove viveva in quegli anni Steiner – e, su richiesta dello stesso Steiner, gli lasciò i quaderni con i messaggi del cognato con l’accordo di rivedersi dopo un paio di settimane. Venne il giorno dell’appuntamento, e Marie era in ansiosa attesa di sapere cosa le avrebbe detto il Maestro su questa vicenda sicuramente poco ‘ortodossa’ rispetto alla Scienza dello Spirito, anzi, per certi versi contraria allo spirito dell’Antroposofia.
«Cosa dirà?» si domandava dunque Marie, in attesa di incontrare Steiner. «Questa domanda stava davanti a me a lettere cubitali, perché nel frattempo in me si era molto rafforzata la fiducia verso l’identità di Sigwart. Per un’ora e tre quarti il Dr. Steiner mi spiegò accuratamente, pagina per pagina, le comunicazioni [di Sigwart] mettendo nella giusta luce quelle che non avevo compreso, spiegando cosa aveva inteso Sigwart con questo o quello, e mi pose delle domande. Mentre leggeva, annuiva spesso con il capo, esclamando con approvazione: “Questo è descritto molto bene” – “Ben espresso” – “Definizione precisa” – “Sí, le esecuzioni musicali, quelle sono realtà”. Attesi inutilmente obiezioni a una qualche comunicazione; non ve ne furono! Accomiatandosi mi disse: “Sí, queste sono comunicazioni straordinariamente chiare e assolutamente autentiche dei Mondi spirituali. Non vedo ragione alcuna per sconsigliarLe di continuare ad ascoltarle…”. Nel salutarci, ancora una volta sottolineò che comunicazioni di questo genere erano molto rare. Io sentii che era veramente felice di questo e che avevamo condiviso questa gioia» (dal libro Brücke über den Strom: Sigwarts Mitteilungen aus dem Leben nach dem Tod – Il ponte sul fiume: comunicazioni di Sigwart sulla vita dopo la morte, Oratio Verlag, Sciaffusa 2008).
Le comunicazioni di Sigwart proseguirono per anni e vennero raccolte devotamente e riservatamente dalla famiglia. Fino a che, il 25 aprile 1932, arrivò questo messaggio: «è giunto il momento in cui i doni divini che abbiamo lasciato elargire da nostro fratello Sigwart devono diffondersi in circoli piú ampi. Quanto da lui vi è stato comunicato deve essere diffuso per donare benedizione, per alleviare sofferenze, per aiutare le persone ed indicare loro la via verso la Luce. Il momento è arrivato!». Da allora le comunicazioni di Sigwart sono state pubblicate in volume e tradotte in molte lingue del mondo. Nei messaggi dal Mondo spirituale Sigwart descrive alla sorella Lycki, e al circolo di amici – che ben presto si forma intorno a lei – ciò che accade all’anima nel momento della morte e nei periodi successivi. Il suo amore per i suoi familiari gli consente di stare loro vicino e di assisterli nel superamento del grande dolore per la perdita. Un dolore che però va superato, perché produce al defunto solo grande sofferenza e gli impedisce di comunicare con i suoi cari. La morte è qualcosa di meraviglioso – non si stanca di ripetere Sigwart – l’avvenimento piú bello della vita; quello che risveglia al Mondo spirituale, dunque perché dolersi per chi è ormai immerso nella Luce divina? Chi attraversa la soglia della morte è letteralmente assetato dei pensieri elevati che si possono formare solo nel corso dell’esistenza fisica, e per questo motivo Sigwart gioisce con la sorella quando lei e i suoi amici si incontrano e discutono di argomenti elevati o si dedicano alla meditazione. Sigwart racconta giorno per giorno – in una sorta di diario ultraterreno – il proprio percorso dal piano astrale a quello del Devachan. Il mondo fisico, quello astrale e quello spirituale, o Devachan, in realtà non sono separati, ma si compenetrano; solo la nostra limitazione nella percezione di ciò che non è fisico ci impedisce di vedere oltre i confini del nostro mondo. La pratica spirituale che egli ha coltivato già nel corso della vita terrena gli consente di procedere molto rapidamente nel percorso tra morte e nuova nascita, permettendogli altresí di conseguire delle conoscenze particolarmente elevate dei Mondi spirituali.
Racconta alla sorella, sin nei dettagli, la prosecuzione – sul piano spirituale – delle proprie creazioni musicali. La “musica celeste” destinata a trasformare l’atmosfera della Terra. «La musica è l’arte piú elevata, anche se può agire solo indirettamente sugli uomini. …Il suo compito è quello di trasformarne l’anima. …è il nostro mezzo piú efficace per influenzare l’umanità» (op.cit.). Il suo impegno nella realizzazione di sette sinfonie ‘celesti’ è qualcosa che lo occupa molto e lo entusiasma; tale opera – realizzata sul piano spirituale insieme ad altre anime – rappresenta la prosecuzione della sua missione sulla terra. Descrive con toni rapiti l’indescrivibile felicità delle anime che assistono alle esecuzioni di musica ‘celeste’ e narra di periodi d’intenso ma luminoso lavoro per creare le opere e successivamente per educare altre anime alla musica. Cosí dice Rudolf Steiner nella conferenza “Alle soglie della Scienza dello Spirito” tenuta a Berlino nell’agosto 1906 (O.O. N° 95): «L’attività e la beatitudine nel Devachan consistono specialmente nell’attività creatrice. I grandi mutamenti della Terra sono creati dall’essere umano sotto la direzione e la guida degli esseri superiori. I morti lavorano alla trasformazione della fauna e della flora. La trasformazione della Terra è dovuta all’operare dei morti. Anche nelle forze della natura dobbiamo vedere le azioni degli esseri disincarnati. Ciò che l’uomo non può fare qui sulla Terra lo compie nel periodo che vive tra la morte e una nuova nascita».
Ma i messaggi di Sigwart sono anche ricchi d’indicazioni per l’esistenza terrena, per la preparazione necessaria onde poter penetrare coscientemente nel mondo che ci aspetta oltre la soglia della morte, dove, se non siamo coscienti, viviamo a lungo in uno stato di doloroso sonno, senza poterci rendere conto di dove ci troviamo. Allora non ci rendiamo conto neppure di essere morti e non riusciamo a riconoscere le anime delle persone a noi legate che ci si avvicinano. L’uomo che attraversa la soglia della morte non è – come spesso si immagina – automaticamente consapevole di ciò che ha davanti; in realtà egli guarda al nuovo mondo in cui si trova ancora con i pensieri, le emozioni ed i giudizi che aveva da uomo terreno. Solo se nel corso della vita terrena si è lavorato spiritualmente, appropriandosi delle corrette descrizioni del Mondo spirituale, si può superare rapidamente il periodo di disorientamento che l’anima del defunto si trova ad attraversare. Come sottolinea Steiner: «Escludere il sapere sui Mondi spirituali durante la vita sulla Terra vuol dire rendersi cieco nel senso animico-spirituale per la propria vita dopo la morte» (Nessi cosmici nella formazione dell’organismo umano – O.O. N° 218).
Ciò fa comprendere – ove ve ne fosse la necessità – la straordinaria importanza di quanto Rudolf Steiner ha portato nella cultura attuale con la Scienza dello Spirito, che ha messo a disposizione dell’umanità un quadro esaustivo del Mondo e delle Entità spirituali, rendendo di fatto operativo il ponte tra il mondo terreno e quello dello Spirito. «Non importa – ci dice Sigwart - quali sono i sentieri che percorriamo nella nostra vita, quali lavori abbiamo fatto, tutto dipende da quello che l’uomo ha pensato, ha sentito e ha fatto nella sua ultima vita terrena. ...Io adesso so qualcosa in piú, vedo piú lontano di prima. Ma una volta che ci siamo liberati della materia del nostro corpo fisico, non si diventa improvvisamente onniscienti. Voi non ci crederete, ma io sono accanto a voi, sento tutto quello che dite. Io vivo!» (op.cit.). Man mano che il tempo passa e che il defunto si distacca dalla terra, il racconto di questo straordinario viaggio si arricchisce anche d’immaginazioni cosmiche, di esperienze spirituali elevatissime che si traducono in preghiere, meditazioni e indicazioni per le anime di coloro che ancora vivono incarnati. Seguendo il percorso di Sigwart, viene a crearsi dentro la nostra anima un ponte tra il nostro mondo e quello spirituale; cominciamo a guardare alla morte con un occhio diverso. Non piú “regno delle ombre” ma Regno di Luce e di Amore. Iniziamo a immaginarlo come una porta che si apre su una nuova realtà, nella quale riversare i frutti dell’evoluzione spirituale conseguiti nella nostra esistenza terrena. «Potete raffigurarvi l’essere incarnati con un viaggio sgradevole che si è costretti a intraprendere. All’arrivo a destinazione – vale a dire sulla terra – venite rinchiusi in un cortile circondato da alte mura. Vedete il cielo sopra di voi, ma siete convinti che sia irraggiungibile. Rimanete lí fino a quando vi si viene a prendere.

<<Alcuni di voi possono, con il loro sviluppo spirituale, attraversare quelle pareti. Per costoro la prigionia non significa piú nulla, perché essi hanno comunque la libertà dello Spirito>> (op.cit.)
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25/05/2013 10:12

Passato,presente,futuro,il corpo umano è soltanto un contenitore
l anima è immortale,dopo la morte,forse l accesso a piani spirituali...
26/05/2013 11:09

L'UNIVERSO SOGNANTE

Articolo di Fred Alan Wolf (fisico noto per le sue intuizioni sui legami tra la scienza e la consapevolezza. È autore di opere come The Eagle’s Quest, Taking the Quantum Leap e Parallel Universe.)
Fonte: www.innernet.it/luniverso-sognante/

Le culture occidentali sono sempre state affascinate dai sogni, ritenuti in grado di divinare il futuro o di risvegliare ricordi del passato, persino delle vite precedenti. Recentemente, c’è stato molto interesse intorno ai sogni lucidi. La fisica quantica può spiegarci come e perché sogniamo? C’è un cervello olografico alla sua base?

"Un estremo è l’idea di un mondo oggettivo che segue il suo regolare corso nello spazio e nel tempo, a prescindere da qualsiasi tipo di soggetto osservante: questa è stata l’immagine che ha guidato la scienza moderna. All’altro estremo c’è l’idea di un soggetto, che sperimenta misticamente l’unità del mondo e non ha più di fronte a sé un oggetto o un mondo oggettivo: questa è stata l’immagine che ha guidato il misticismo asiatico. Il nostro pensiero si muove da qualche parte nel mezzo, tra queste due concezioni limitate; dovremmo mantenere la tensione derivante da questi opposti."
Werner Heisenberg



Esiste un mondo di mezzo tra l’esperienza umana e animale. Esso si trova in quella zona indistinta tra la mente conscia e vigile, qui, e il mondo fisico che tutti diamo per reale, là. Anche se nella citazione di apertura Heisenberg parla solo di una “tensione” tra il mondo interiore di un soggetto e quello esteriore di un oggetto, forse egli sta facendo riferimento a una nuova visione concettuale dell’universo della mente e della materia, basata sulla fisica quantica. In questo articolo parlerò di questa concezione come del “mondo immaginale”, illustrando i legami di quest’ultimo con l’universo dei sogni.

Henri Corbin, il noto studioso dell’Islam, è stato il primo scrittore europeo a utilizzare l’espressione “mondo immaginale” (nota 1). Secondo lui, questo mondo è ontologicamente reale, ma le mie ricerche sulla natura dello sciamanesimo (nota 2) e dei sogni suggeriscono che esso sia più autentico della realtà che percepiamo. A ogni modo, si tratta di una realtà al di là della nostra normale percezione di veglia, anche se ci appare sotto forma di sogni e di altri esperienze simili, come le esperienze di quasi morte e forse i rapimenti degli UFO (nota 3).

Per quanto possa apparirci nuovo il concetto di questa realtà, gli aborigeni australiani sostengono di averne “memoria” da 150.000 anni (nota 4). Essi definiscono la propria memoria “la dimensione dei sogni”, che secondo loro contiene tutto il passato, il presente e il futuro. Da tale dimensione sorge il mondo della mente, la materia e l’energia. E tutto ciò si sviluppò molto tempo fa, come un sogno “del Grande Spirito”. Dunque, il pensiero aborigeno suggerisce che l’universo o Dio stiano sognando nell’esistenza tutto ciò che sperimentiamo, e che tale sogno ha una precisa componente mitologica o, come direbbe C. G. Jung, archetipica.

Per quanto sappiamo, le culture occidentali sono sempre state affascinate dai sogni. Questi ultimi sono stati ritenuti in grado di divinare il futuro o di risvegliare ricordi del passato, persino delle vite precedenti. Molte culture credono che durante il sogno l’anima abbandoni il corpo e viaggi in altri mondi. In effetti, la Bibbia ci ricorda i sogni profetici di Giuseppe. E naturalmente esistono sogni che, si dice, danno al sognatore facoltà creative. Basti ricordare i sogni del poeta-filosofo William Blake per comprendere il potere creativo e profetico di un sogno.

Recentemente, c’è stato molto interesse intorno ai sogni lucidi (nota 5). Essi sono molto diversi dai sogni comuni, per contenuto ed esperienza. I loro segni distintivi sono la consapevolezza di stare sognando e la vividezza dei dettagli ricordati dopo il sogno. Si ha anche la sensazione di poter controllare gli eventi dell’entità sognante (uso questa espressione perché, nei miei sogni lucidi, l’entità sognante sembra per molti aspetti diversa dal mio io normale e cosciente, sebbene allo stesso tempo sappia di essere me stesso. La differenza più impressionante è la consapevolezza di essere diviso in due menti coscienti: la persona addormentata “sul letto di casa” e la persona che sperimenta il sogno sapendo di essere sempre sul letto di casa). Al risveglio, il sogno viene ricordato con grande facilità.

Recentemente, ho intervistato persone che non solo hanno sogni lucidi, ma sembrano capaci di risvegliarsi, notte dopo notte, in un mondo parallelo dove conducono un’altra vita, in un altro corpo (io stesso ho avuto questa esperienza, oltre a quella dei sogni lucidi). Ho scritto molto sui sogni lucidi in un libro precedente, nell’ambito dei miei studi sui rapporti tra la Fisica e la consapevolezza (nota 6).

In un libro successivo, The Eagle’s Quest, ho descritto in che modo il mondo immaginale può essere la fonte di tali sogni. Ho anche studiato come gli sciamani alterano la consapevolezza per guarire e trasformare la materia. Talora ho cercato di creare nuove metafore per comprendere gli stati di coscienza dal punto di vista della Fisica. Ho anche suggerito, come possibile spiegazione degli stati sciamanici di consapevolezza, l’esistenza di un mondo immaginale “di mezzo” (anche gli studi contemporanei sugli UFO e le esperienze di quasi morte sembrano ricorrere alla nozione di un mondo di mezzo per spiegare un gran numero di esperienze apparentemente incomprensibili) (nota 7).

In questo articolo vorrei proporre una spiegazione dei sogni e forse di altre esperienze “oltremondane” basata sulla fisica quantica, sull’esistenza del mondo immaginale e sulla forma delle immagini olografiche nel cervello umano. La mia ipotesi è che il cervello è qualcosa di simile a un ricevitore capace di sintonizzarsi tanto con il mondo di mezzo quanto con quello che definiamo “reale”. Userò il termine “sogno” in riferimento a una vasta gamma di esperienze sensoriali che apparentemente esistono o vengono sperimentate senza un’evidente componente oggettiva: tra queste, i sogni lucidi e normali, le esperienze fuori dal corpo, di quasi morte, sciamaniche, ufologiche e altre.

Non cercherò di descrivere nei dettagli in che modo queste esperienze sono diverse – naturalmente lo sono – perché cercherò di affrontare questo argomento nel mio prossimo libro, The Dreaming Universe (nota 8). Piuttosto, qui vorrei suggerire una spiegazione non solo del modo in cui si formano i sogni e le altre esperienze “oltremondane”, ma anche del funzionamento del cervello durante i sogni e la veglia. Cercherò di spiegare sia la consapevolezza conscia che quella onirica da un nuovo punto di vista psico-quanto-fisico.

Il punto cruciale del mio discorso è l’esistenza del mondo di mezzo, da cui sorgono tanto la consapevolezza di veglia quanto quella onirica. La mia ipotesi è che la nostra vita, i nostri pensieri e sentimenti, e persino il mondo fisico della materia e dell’energia, provengono da questo mondo immaginale. Voglio anche suggerire che quelli che chiamiamo sogni sono immagini emergenti da questo mondo attraverso un meccanismo olografico implicante onde quantiche di informazioni che sorgono nel passato e nel futuro.

Cos’è il mondo immaginale?

Sebbene il mondo immaginale possa significare molte cose, a seconda dei propri interessi e della propria cultura, vorrei darne una definizione basata sulla fisica quantica. Esso è uno spazio e un tempo che è, come la “zona del crepuscolo” di Rod Serling, il mondo dell’immaginazione.

Ma “immaginazione” non è la parola giusta per descrivere questo “luogo”. Infatti, da esso proviene tutto ciò che esiste soggettivamente nella nostra percezione: i nostri pensieri, i nostri sentimenti, le nostre sensazioni, lo spazio e il tempo fisico, persino la materia. Per comprendere questo punto e la sua importanza nell’esperienza del sogno, usiamo una prospettiva fisico-quantica per studiare come si forma la nostra esperienza soggettiva del mondo.

Io studio la Fisica quantica da molto tempo e mi interesso al modo in cui quest’ultima e la consapevolezza si sovrappongono (nota 9). Soprattutto, mi interessa quello che in Fisica è noto come l’«effetto osservatore» (nota 10). Un sistema quantico, in genere, esiste in una sovrapposizione di stati. Tali stati corrispondono agli attributi osservabili, e quindi misurabili, della nostra esperienza del mondo.

Per esempio, ci sono degli stati corrispondenti alle posizioni degli oggetti fisici. Prima di venire osservati, tali stati esistono come una sorta di “nuvola fantasma” di possibilità, estesa nello spazio e nel tempo come una nebbia misteriosa. I fisici chiamano questa nebbia una “sovrapposizione” di onde quantiche. Improvvisamente, tramite la percezione, l’osservazione o la cognizione, tale moltitudine di stati si trasforma in uno stato singolo. In gergo, questa si chiama “riduzione del pacchetto di onde”. Ciò vuol dire che una volta che uno stato è noto, la sua onda di probabilità deve diventare singolare, “infilzata” in un luogo e un tempo, piuttosto che essere diffusa e sparsa nello spazio e nel tempo. Quando nell’onda accade questo “picco”, l’oggetto assume una forma fisica e il suo osservatore ha un’esperienza cognitiva.

Ma nessuno sa in che modo si formi questa improvvisa realtà “a picchi”. Nella stessa fisica quantica non c’è nulla che preannunci questo fenomeno. Tale improvviso “picco di realtà” è la base del principio di indeterminazione di Heisenberg, e ha dato origine a molte interpretazioni, le quali richiedono tutte, tranne una, la fede in un sistema metafisico posto al di là delle leggi della Fisica. L’unica eccezione è forse la spiegazione meno accettabile, sebbene sia l’unica che rimanga all’interno della Fisica quantica. Questa spiegazione sostiene che il collasso di un “picco” non si verifica.

Tale concezione è chiamata “l’interpretazione dei molti mondi della meccanica quantica”, e dice molto chiaramente che tutte le possibilità esistono simultaneamente. Esse esistono adesso, esistono prima ed esistono dopo come una sovrapposizione “fantasma” di trame o storie che vanno all’indietro fino all’inizio del tempo, e in avanti fino alla sua fine. Tale concezione della sovrapposizione delle possibilità ricorda il concetto aborigeno della “dimensione dei sogni” e il mondo immaginale di Corbin. Il mio suggerimento è che questi siano tutti la stessa cosa, vista da basi intellettuali e culturali diverse.

In tale concezione di mondi paralleli sovrapposti, le onde quantiche si muovono in modo immaginale, come se il tempo non fosse nulla più che una dimensione dello spazio. Non esiste una “freccia” del tempo. Ciò che era nel passato e ciò che sarà nel futuro non sono considerati più importanti di ciò che è a destra o a sinistra di una posizione nello spazio. Così, si parla del passato e del futuro come se esistessero nel tempo presente, adesso. Data questa interpretazione, come si forma l’esperienza del mondo, sia quello onirico che quello della consapevolezza desta?

Messaggi dal cervello olografico

Perché siamo in grado di sperimentare ogni cosa – sia che entri dall’esterno nel nostro sistema nervoso e nel nostro cervello, sia che nasca apparentemente dentro quest’ultimo – come un sogno creato nel sonno? In che modo si forma la consapevolezza?

Vorrei suggerire una risposta. Chiaramente sto facendo delle ipotesi, ma credo che le nostre attuali conoscenze delle immagini olografiche possono portarci fino a questo punto.

Gli ologrammi sono composti da onde luminose che interferiscono le une con le altre, lasciando la loro impronta su un materiale fotosensibile piatto o bidimensionale. Tali onde vengono da due sorgenti: una fonte intelligibile di luce e il riflesso di quest’ultima su un oggetto fisico. Quando la luce da queste due fonti viene assorbita da un materiale fotosensibile, resta registrata la forma dell’intersezione. Quando una sorgente di luce illumina l’ologramma, appare un’immagine tridimensionale dell’oggetto, anche se la registrazione avviene su una superficie piatta.

La percezione della realtà come accade nel nostro cervello e nel sistema nervoso è, credo, una sequenza di ologrammi che si susseguono gli uni dopo gli altri, man mano che l’esperienza si manifesta “nel tempo”. Nel cervello, le onde quantiche producono eventi e allo stesso tempo sono la percezione e l’illuminazione di quegli eventi. In tal modo, nel cervello si crea l’ologramma.

Esistono degli elementi, sia nella costruzione dell’ologramma che nel mondo immaginale, che rendono questa ipotesi più sostenibile. Per esempio, i dati raccolti dal fisiologo premio Nobel Georg von Bekesy hanno mostrato che soggetti privati della vista “provavano” sensazioni in uno spazio in cui nessuna parte del loro corpo era presente. Egli aveva messo dei vibratori sulle ginocchia dei soggetti, chiedendo loro di tenere aperte le gambe. Quando la frequenza delle vibrazioni cambiava, sembrava che la sensazione saltasse da un ginocchio all’altro, mentre a certe frequenze sembrava posta nello spazio tra le ginocchia. Le vibrazioni producevano forme di interferenza nel cervello dell’osservatore e quindi ricreavano olograficamente un’esperienza di realtà “oggettiva”.

La sensazione di percepire qualcosa “là fuori” nello spazio quando il senso della vista è impedito, non è in realtà più misteriosa della sensazione di vedere qualcosa “là fuori” in condizioni di vista normale. L’immagine si forma olograficamente nello stesso modo della sensazione della percezione. Così, secondo me, il concetto olografico spiega come ricreiamo non solo la realtà visiva, ma tutte le percezioni della realtà. Ricostruiamo la realtà producendo un ologramma visivo, sonoro e sensorio nel nostro cervello, sulla base dei dati forniti dai sensi. In tal modo, il mondo sperimentato, il mondo “oggettivo”, esiste nel nostro cervello. Nessuno sa esattamente cosa ci sia “là fuori”.

A questo punto, abbiamo di fronte a noi due ovvi problemi: (1) dov’è il soggetto? (2) Dov’è l’oggetto creato? Concentriamoci sull’esperienza visiva per tentare di rispondere a queste domande. Scopriremo che la risposta a una è anche la risposta all’altra.

Dov’è il suo Io, Sua Altezza?

È estremamente difficile dire dove si formi l’immagine e dove stia l’osservatore. Quasi tutti coloro che hanno riflettuto sull’«osservatore» nei sogni o (per quel che conta) nella vita cosciente, si troveranno in difficoltà con ciò che dico. Dove è la “persona” che vede l’ologramma costruito nel cervello? Dov’è l’omuncolo seduto all’interno che guarda lo spettacolo? Nonostante tutte le mie ricerche, devo ancora trovare l’ubicazione dell’«osservatore» della realtà nel cervello o nel sistema nervoso. In tal modo, anche il mondo oggettivo sembrerebbe perdere il suo status di autentica realtà oggettiva, in quanto dipende fortemente dal soggetto.

E che dire del soggetto? Allo stesso modo con cui sembra svanire l’oggetto “vero” (come il viso del gatto in Alice nel paese delle meraviglie), sono portato a concludere che anche nel caso del soggetto non esiste nessuno. Non c’è alcuna persona. Come ha insegnato il Buddha, non esiste “io” né tempo; nulla è reale. I francesi usano il termine “personne” per dire nessuno. Non credo che esista un testimone o un osservatore, per quanto strano possa sembrare. È un’illusione. Ma se così stanno le cose, che sta succedendo? Non fraintendermi. Qualcosa sta succedendo, ma non come sembra a te, perché “tu” in realtà non esisti.

La formazione dell’esperienza

Nella concezione della Fisica classica, tutte le esperienze sono rappresentate da sequenze di eventi; ogni evento è descritto mediante tre attributi: massa o energia, spazio e tempo. Qui sta il “problema”. Infatti, è impossibile descrivere completamente un oggetto in questo modo. La ragione è sottile e ha a che fare con la natura della Fisica quantica; in particolare, con il ruolo dell’osservatore che trasforma le possibilità in un’esperienza attuale.

Nell’interpretazione dei molti mondi della Fisica quantica, l’osservatore, nell’osservare, è unito alla cosa osservata. Prima che venga osservato, un sistema esiste come sovrapposizione di un numero infinito di stati possibili. Quando nel quadro entra l’osservatore, lui o lei osserva davvero ognuno di quegli stati, anche se ciascuno di essi esiste in un mondo diverso. L’osservatore è “catturato” da ciò che viene osservato e abbinato a esso in un mondo dato. Così, quando un osservatore osserva un elettrone nella posizione A all’interno di un atomo, l’elettrone sembra fermo in quella posizione. Ma le altre possibili posizioni dell’elettrone non cessano di esistere. C’è sempre un osservatore che osserva lo stesso elettrone nella posizione B, ma in un mondo diverso.

Perciò, le altre possibilità della “nuvola fantasma” non svaniscono improvvisamente quando se ne materializza una; piuttosto, tutte le possibilità sono presenti e l’osservatore è unito a ciascuna di esse. In ogni mondo in cui esiste un attributo fisico, c’è un osservatore che osserva quel valore per quell’attributo. Nel modello del cervello-ologramma che ho qui postulato, l’osservatore, nell’osservare, diventa davvero parte dell’ologramma. L’osservatore viene dunque trasformato attraverso la sua esperienza.

L’osservatore e l’osservato sono la stessa cosa a livello di un ologramma vivente dentro il cervello. Ciononostante, gli ologrammi comuni richiedono un osservatore al di fuori dell’ologramma. Cosa rende l’ologramma del cervello diverso da tutti gli altri ologrammi?

La differenza sta nel fatto che l’ologramma è un costrutto tridimensionale (3D), una pellicola spessa piuttosto che sottile, probabilmente composta dalla corteccia che copre il cervello antico. Tutti gli ologrammi laser-ottici costruiti dagli uomini sono bidimensionali (2D). Questi ologrammi 2D sono ottimi nel ricreare immagini 3D.

Il cervello è un oggetto 3D, dall’aspetto di un tappeto spesso e ritorto. Poiché gli ologrammi 2D ricostruiscono immagini 3D, per analogia si può dire che il cervello 3D ricostruisce “immagini” 4D. Questo è ciò che si intende con esperienza sensoriale o cognitiva. Sto suggerendo che il tempo, cioè la quarta dimensione (come dice Einstein), viene ricostruito dall’ologramma del cervello. Ma se il tempo viene costruito nel cervello, in che modo esso viene sperimentato? La risposta è: “tu”.

Queste esperienze olografiche nel cervello sono come dei lampi: la sequenza di lampi costituisce l’insorgere sia del tempo che dell’«io». I lampi sono l’immagine e l’osservatore dell’immagine allo stesso tempo. Nel normale ologramma 2D, abbiamo un osservatore che guarda l’ologramma, ma l’ologramma è separato dall’osservatore. Nella sequenza 3D, l’osservatore e l’ologramma sono la stessa cosa. Non c’è nessuno che “osserva” il moto interiore della corteccia. Quest’ultimo è l’osservatore. L’«io» è la sequenza degli eventi di quel moto. Per cui, l’«io» sorge nel tempo.

Esiste un mondo fondamentale da cui proviene tutto ciò? Direi di sì, e lo collegherei al mondo immaginale. Nel mondo immaginale non esiste tempo né spazio. Ma da esso provengono tutte le possibilità e gli osservatori. In esso l’oggettivo viene sperimentato come spazio, il soggettivo come tempo. Ciò avviene perché quello che intendiamo con oggettivo è “là fuori”, mentre il soggettivo è sperimentato “nel tempo”, ma non ha una componente spaziale. La Fisica classica vedeva il tempo come una dimensione reale. La relatività cominciò a vedere il tempo come una dimensione immaginale, ma solo nella teoria quantica esso viene completamente considerato tale.

L’assemblaggio dei dati sensoriali dal mondo immaginale crea nel cervello un’azione che chiamiamo consapevolezza. L’«io-consapevolezza» degli eventi non è nulla di più che la mappatura dell’esperienza nel tempo; la consapevolezza “di veglia” degli eventi è la mappatura dell’esperienza nello spazio; la consapevolezza onirica è la mappatura dell’esperienza nel mondo immaginale. La consapevolezza onirica e quella di veglia accadono simultaneamente; quando siamo svegli, la consapevolezza onirica è semplicemente sopraffatta da quella conscia, e viceversa quando siamo addormentati.

Così, il mondo dello spazio, del tempo, della materia, dell’energia, del pensiero e delle sensazioni proviene da quello immaginale. Sia lo spazio che il tempo emergono come le dimensioni sicure del mondo immaginale, così come registrate dall’ologramma del cervello.

Il sogno dell’universo sognante

Le immagini di una olografia 3D sono diverse da quelle di un’olografia 2D. Una prima differenza è data dal fatto che esiste un numero infinito di immagini 3D; ciò si ricollega alla teoria dei molti mondi paralleli nella Fisica quantica. L’onda che illumina l’ologramma rappresenta tutte le possibilità esistenti. Nella Fisica quantica, il progresso degli stati dell’atomo dalla potenza all’attualità proviene da una sorta di moto doppio; i modelli di interferenza prodotti dalle onde di questo moto danno origine alle probabilità. Tali probabilità si trasformano in percorsi nello spazio e nel tempo “reali”.

L’osservatore è su tutti questi percorsi simultaneamente. Quelli che tendono a essere potenzialmente vicini gli uni agli altri formano la nostra “consapevolezza normale di veglia”. Quello che chiamiamo “io” è la consapevolezza dei percorsi più comuni, ed è qui che si forma il nostro senso di scelta. In ogni punto del tempo, esistono percorsi più o meno comuni. Di solito, quelli che abbiamo osservato sono i percorsi più probabili.

Quando si fa l’esperienza di un sogno? Adesso sappiamo, grazie all’opera di J. Allan Hobson (nota 11) e altri, che esiste un meccanismo nel tronco cerebrale che cancella gli stimoli esterni quando dormiamo. Cancellando le informazioni provenienti dal mondo esterno, percepiamo solo quelle già esistenti nel sistema. Potremmo chiamare tali informazioni la realtà soggettiva. Durante il sonno, la realtà soggettiva è tutto ciò che è possibile sperimentare.

Nella consapevolezza normale di veglia, sia la realtà oggettiva che quella soggettiva influenzano il nostro cervello, ma la realtà onirica è sopraffatta dagli stimoli del mondo esteriore. In questo istante, tu stai sognando. Tutti noi siamo sognando. Di solito non ce ne accorgiamo, perché il nostro sistema nervoso è sovraccarico di dati provenienti dal mondo esterno. E mentre stiamo osservando la realtà esterna, è difficile percepire il senso dell’io, così come quello della realtà soggettiva.

Tuttavia è possibile osservare o percepire l’io dei sogni. Nel corso di un’esperienza eccezionale di veglia, come un’iniziazione sciamanica, una trance, una meditazione e magari un incontro con gli UFO, si fa esperienza della parte espansa, o dell’io dei sogni, dell’ologramma. Qualcosa di simile può avvenire durante le sincronicità. È una storia senza fine: puoi osservare il testimone che guarda il testimone che guarda il testimone. È possibile continuare all’infinito, perché esiste un numero infinito di testimoni. Il processo va avanti per sempre, come l’osservazione della tua immagine in due specchi l’uno di fronte all’altro.

Non esiste alcuna persona presente. La “persona” è un costrutto. Non appena diventi consapevole di ciò, accedi allo stato del testimone. Una volta in quello stato, vedi che esso è una proiezione. Una volta che ti osservi fare ciò che stai facendo, puoi vedere che si tratta solo di un’altra illusione. Se persisti, ti ritroverai a correre dentro un salone degli specchi, in un’avventura incredibile come il viaggio di Alice al di là dello specchio.

Possiamo considerare tutto ciò come un cammino verso il Dio-Sé o l’originario “Spirito Sognante” degli aborigeni australiani. A quel punto, non esiste nulla.

Ebbene, perché sogniamo? Come ho detto prima, il sogno viene osservato quando elimini gli stimoli esterni. In realtà, quando sogni, diventi consapevole di ciò che stai facendo qui e ora, di quello che accade sempre nel cervello: il processo continuo delle immagini olografiche. Tali immagini – questa continua ricostruzione dell’ologramma – sono indispensabili se vogliamo sopravvivere e, fatto ancora più importante, se vogliamo diventare completamente consci.

Questo l’ho imparato nella giungla peruviana, con gli sciamani. Riuscivo ad avere immagini oniriche sotto l’influsso della pianta dell’ayahuasca. In tali esperienze di sogno cosciente, ho capito che alcune immagini erano dei sogni lucidi, ma la maggior parte no. La lucidità accadeva per brevi periodi di tempo, di solito non più lunghi di qualche secondo, e a intervalli apparentemente casuali. Per il resto, le immagini erano confuse e alquanto prive di senso. Gli episodi lucidi erano sempre pieni di colori, sembravano molto reali ed erano sempre accompagnati dalla sensazione di essere presenti sulla scena. Avevo la sensazione che tutto ciò fosse una sorta di trucco o spettacolo magico; mi sembrava di essere nella Disneyland del cervello, e per un breve istante ho capito il segreto che stava alla base della creazione di questo trucco.

Lo spettacolo magico dell’universo

«Hai anche imparato il segreto del fiume, cioè che il tempo non esiste?»

«Sì, Siddharta, è questo che vuoi dire? Il fiume è ovunque allo stesso tempo. Nella sorgente e nella foce; nella cascata, nel traghetto, nella corrente e nelle montagne. Ovunque. Per esso esiste solo il presente, senza l’ombra del passato né del futuro.»

«È così», disse Siddharta. «E ho imparato, riguardando la mia vita, che anche essa è un fiume. Siddharta il ragazzo, Siddharta l’uomo maturo e Siddharta l’anziano erano separati solo da ombre, non dalla realtà.

Le vite precedenti di Siddharta non erano nel passato, né la sua morte e il suo ritorno a Brahma sono nel futuro. Nulla era e nulla sarà; ogni cosa è reale e presente.»” (nota 12).

Dalla posizione vantaggiosa dello spazio, il tempo e la materia, le onde quantiche nel cervello vanno avanti e indietro nel tempo. Esse creano percorsi neurali da cui proviene il comportamento abituale. Ciò crea la struttura dell’ologramma in cui tutte le immagini vengono registrate come un misto di mito e realtà.

Il segnale che torna indietro nel tempo dal futuro deve correlarsi con quello diretto in avanti dal passato. Ecco perché non vediamo molto bene nel futuro. Siamo più assorbiti dalla sopravvivenza che dal vivere il nostro mito; questo è ciò che chiamiamo “condizionamento passato”. Il condizionamento passato è ciò che ci impedisce di vedere nel futuro. Le persone che vedono nel futuro sono capaci di illuminare gli ologrammi del cervello in modo diverso.

È impossibile cambiare i percorsi neurali formatisi nel periodo critico della crescita: l’hardware è immutabile. Ecco perché la psicoanalisi sta vivendo un momento così brutto. Tutto ciò che si può fare è evitare di illuminare l’ologramma allo stesso modo ogni volta che sorge una situazione nuova. Per esempio, stai con una persona e scopri che ti stai arrabbiando fuori misura a causa di qualcosa che lui/lei ha detto o fatto, probabilmente stai solo ripetendo la reazione che avesti all’età di sei mesi, quando un genitore si arrabbiò con te. Quando ciò si verifica adesso, tutto quello che devi fare è riconoscere che la rabbia che stai provando è solo un programma formatosi quando eri bambino; non è altro che un lavaggio del cervello. Allo stesso tempo, se accettiamo la premessa che non esiste una “persona” nel senso convenzionale del termine, dobbiamo accettare che è l’universo che sta scegliendo.

Data l’atemporalità delle onde quantiche, persino le vite passate potrebbero stare agendo in questa ripetizione olografica. Queste vite sono portate dalle onde quantiche dell’universo e vengono probabilmente percepite nel codice DNA che abbiamo ereditato dai genitori. Alla fine, tornando abbastanza indietro nel tempo, si vede che tutta l’umanità è discesa da uno o due progenitori comuni. Il sistema del DNA può essere visto come una “libreria” contenente onde di informazioni olograficamente immagazzinate, o come un ricevitore di onde quantiche che furono costruite per l’umanità.

Forse ti starai chiedendo da dove vengono queste onde quantiche. A questo punto, è d’uopo ritornare alla “dimensione dei sogni” del Grande Spirito, nel pensiero aborigeno. Ora le visioni del mondo scientifica e aborigena sembrano cominciare ad avvicinarsi: potremmo dire che le onde quantiche sono le onde del cervello del Grande Spirito.

Siamo tutti fatti della stessa sostanza; abbiamo tutti la stessa libreria. Osservando la struttura del DNA e delle altre molecole, possiamo vedere persino il nostro legame con le piante e gli animali. Siamo tutti parte della stessa famiglia. Per questo ho ricordi delle mie vite passate che sembrano lontanissimi da quelli della mia famiglia attuale.

Quindi, l’individualità – la sensazione che ognuno di noi è una singola entità – è fondamentalmente un’illusione. Le anime individuali sono costruzioni egoiche del Grande Spirito.

Esiste una sola anima, un solo “io”. Questo “io”, che gli aborigeni chiamano Grande Spirito, sta ancora sognando. Questo sogno è l’universo, ed è anche il sogno dell’universo. Colui che osserva il sogno e il sogno sono la stessa cosa. Possiamo solo chiederci cosa succederà quando colui che dorme si sveglierà.

Note

1. Vedi Henri Corbin, Mundus Imaginalis or the Imaginal and the Imaginary (Ipswich, England: Golgonooza Press, 1976).

2. Fred Alan Wolf, The Eagle’s Ques: a Physicist’s Search for Truth in the Heart of the Shamanic World (New York: Summit Books, 1991).

3. Vedi per esempio Peter M. Rojcewicz, Signals of Transcendence: The Human-UFO Equation in “Journal of UFO Studies”, New Sciences, Vol. 1 (1989), p. 111

4. Vedi per esempio Jim Pouley, The Secret of Dreaming (Templestowe, Australia: Red Hen Enterprises, 1988); Peter Sutton, ed., Dreamings: The Art of Aborigenal Australia (Victoria, Australia: Penguin Books, 1988); Jean A. Ellis, From the Dreamtime: Australian Aborigenal Legends (Victoria, Australia: Collins Dove, 1991).

5. Vedi Jayne Gackenbach e Jane Bosveld, Control your Dreams: How Lucid Dreams Can Help You Uncover Your Hidden Desires, Confont Your Hidden Fears, and Explore the Frontiers of Human Consciousness (New York: Harper & Row, 1989); Stephen LaBerge, Lucid Dreaming: The Power of Being Awake and Aware in Your Dreams (Los Angeles: J. P. Tarcher, 1985).

6. Fred Alan Wolf, Star Wave: Mind, Consciousness, and Quantum Physics (New York: Macmilla, 1984).

7. cfr. Rojcewicz, op. cit.

8. Fred Alan Wolf, The Dreaming Universe: Investigations of the Middle Realm of Consciousness and Matter (New York: Summit Books, 1993).

9. Vedi Fred Alan Wolf, The Quantum Pshysics of Consciousness: Towards a New Psychology, “Integrative Psychology”, Vol. 3 (1985), pp. 236-47; On the Quantum Physical Theory of Subjective Antedating, “Journal of Theoretical Biology”, Vol. 136 (1989), pp 13-19.

10. Fred Alan Wolf, Taking the Quantum Leap: The New Physics for Nonscientists, ed. riv. (San Francisco: Harper & Row, 1981).

11. Vedi per esempio J. Allan Hobson, The Dreaming Brain (New York: Basic Books, 1989).

12. Hermann Hesse, Siddharta.
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Utente Esperto
26/05/2013 11:31

La domanda che mi faccio sempre,se una persona sin dalla nascita ha
qualche (purtroppo) deficit a livello sensoriale,tipo cecità,sordità ecc,riesce a sognare?
O magari,ha accesso all Universo Olografico,in modo differente?
[Modificato da darkman66 26/05/2013 11:37]
26/05/2013 13:10

Certo che può sognare.
Magari in maniera differente, ma dovrebbe poterlo fare tranquillamente.
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26/05/2013 13:16

Re:
Sheenky ffz, 26/05/2013 13:10:

Certo che può sognare.
Magari in maniera differente, ma dovrebbe poterlo fare tranquillamente.




Sarebbe interessante i loro sogni..................
27/05/2013 10:38

LA METAFONIA

Fonte: www.victorzammit.com/book/italian/cap03italian.html

Con mia sorpresa, pochissime persone sono consapevoli dell'enorme balzo in avanti che è stato compiuto nella comunicazione con l'Aldilà grazie all'utilizzo della tecnologia. Sebbene in tema di Metafonia o EVP ci siano libri altamente attendibili provenienti da fonti inappuntabili, i mass media non ne fanno mai menzione. E tuttavia queste importantissime scoperte rivelano una comunicazione oggettiva tra coloro che vivono fisicamente in questo mondo e coloro che sono morti e vivono adesso in una dimensione diversa.

Voci che rispondono a domande

Per più di cinquant'anni, gli sperimentatori di tutto il mondo hanno registrato su nastro magnetico "voci paranormali" - voci che non vengono sentite mentre il magnetofono registra, ma che è possibile udire quando il nastro viene riprodotto. Parecchi di questi brevi messaggi attestano di provenire da persone amate ormai defunte. Tali messaggi sono dotati di senso compiuto, utilizzano il nome dello sperimentatore e rispondono a domande.



In tutto il mondo ci sono migliaia di ricercatori che hanno indagato su questo affascinante fenomeno paranormale. Al momento in cui scrivo, il motore di ricerca Google fornisce quasi 50.000 risultati per la parola chiave EVP. Ciò è di grande rilevanza per la mia tesi, in quanto vengono seguite rigorose procedure scientifiche e gli esperimenti sono stati ripetuti, in condizioni di laboratorio, da tutti i generi di ricercatori, in molti Paesi diversi.

Gli investigatori caparbi rimangono profondamente scioccati quando decidono di indagare sulla metafonia, in quanto, utilizzando il metodo appropriato di registrazione, riescono frequentemente ad ascoltare la voce delle persone amate o degli amici che sono morti.

Colin Smythe e Peter Bander

Questo è esattamente ciò che accadde al Dott. Peter Bander, libero docente di Educazione Religiosa e Morale presso uno dei College dell'Istituto Educativo di Cambridge. Peter Bander, psicologo di esperienza e teologo cristiano con un'intrinseca ostilità nei confronti dei fenomeni paranormali, affermò espressamente, prima di indagare sul fenomeno della metafonia, che per i "morti" era impossibile comunicare con noi. Disse che era "non solo assurdo ma anche oltraggioso" persino pensare una cosa del genere (Bander 1973: 3).

Quando l'editore Colin Smythe chiese a Peter Bander di occuparsi della metafonia nel 1972, la risposta di Bander fu un secco "No". Così, Colin Smythe decise di sperimentare in prima persona con un magnetofono, seguendo le procedure indicate nel libro di Konstantin Raudive, Breakthrough (1971). Chiese a Bander di registrare per alcuni minuti. Quindi riavvolse il nastro e lo riprodusse. Dopo dieci minuti stava per lasciare perdere, quando improvvisamente Bander disse:

Ho notato il ritmo peculiare citato da Raudive e dai suoi colleghi ... Ho udito una voce ... Ho creduto che fosse la voce di mia madre morta da tre anni (Bander 1973: 4).

In  seguito Colin Smythe pubblicò Voices from the Tapes in cui ci sono quattro pagine di fotografie che mostrano i diversi partecipanti ai successivi esperimenti di Bander. Questi furono condotti in rigorosissime condizioni di controllo. In una occasione, gli sperimentatori furono condotti all'interno di studi isolati acusticamente per eliminare variabili estranee ed eliminare segnali radio casuali.

Nel giro di 27 minuti si ricevettero circa 200 voci.

Tra i commenti degli osservatori citati nel libro di Bander ricordiamo quello di Ken Attwood, Ingegnere Capo di Pye, il quale affermò:

Ho fatto, senza alcun successo, tutto ciò che è in mio potere per svelare il mistero delle voci; lo stesso vale per gli altri esperti. Suppongo che si debba imparare ad accettarle (Bander 1973: 132).

Il Dott. Brendan McGann, Direttore dell'Istituto di Psicologia di Dublino, ebbe a dire:

Apparentemente sono riuscito a riprodurre i fenomeni. Su un nastro sono apparse voci che non provenivano da alcuna fonte conosciuta (Bander 1973: 132).

A.P. Hale, Fisico e Ingegnere Elettronico, affermò:

Osservando i test eseguiti in un laboratorio schermato della mia azienda, non sono in grado di spiegare, in comuni termini fisici, cosa sia successo (Bander 1973: 132).

Sir Robert Mayer, Avvocato e Dottore in Scienza e Musica, giunse alla seguente conclusione:

Se gli esperti sono sbalorditi, considero questa una ragione sufficiente per presentare la metafonia al grande pubblico (Bander 1973: 132).

Ted Bonner di Decca e RTE disse:

Non c'è trucco. Questa non è illusione; è qualcosa che non ci eravamo mai sognati prima (Bander 1973: 106).

I test del Laboratorio Pye, eseguiti da Colin Smythe e Peter Bander prima della pubblicazione di Breakthrough, furono disposti e finanziati dall'Editore Capo del giornale inglese Sunday Mirror.

Ronald Maxwell, giornalista del Sunday Mirror, aveva supervisionato i test e aveva preparato un articolo di tre pagine, con fotografie, con cui ne supportava le conclusioni. Si compiaceva per il fatto che gli esperti di elettronica scelti dal giornale avevano verificato che le voci erano autentiche e che non erano stati riscontrati né frode né trucchi.

Tuttavia, all'ultimo minuto, l'articolo, di estrema importanza, venne bloccato, senza alcuna spiegazione, dall'Editore Capo, il quale si rifiutò di pubblicare la storia sul giornale. Con le parole di Peter Bander:

L'esperimento, che era stato organizzato e finanziato dal Sunday Mirror, aveva prodotto risultati che non incontravano il favore di colui che prendeva le decisioni (Bander 1973: 68).

Maxwell e Cyril Kersh, gli editori delle attrazioni principali, ci riprovarono una settimana dopo. Questa volta avevano raccolto le informazioni e le dichiarazioni rilasciate da scienziati di punta come Peter Hale. Ma nuovamente l'Editore Capo si rifiutò di pubblicare l'articolo (Bander 1973: 68).

I pionieri della metafonia

Gli esperimenti di Peter Bander furono ispirati dalle ricerche del Dott. Konstantin Raudive. Il Dott. Raudive lavorava in Germania con l'obiettivo di riprodurre le ricerche condotte da Friedrich Jürgenson che, per caso, nel 1959 aveva riscoperto il Fenomeno delle Voci. La ricerca classica di Raudive's nota con il titolo inglese di Breakthrough (1971) era basata su 72.000 voci che egli aveva registrato. Il lavoro sulla metafonia era in realtà iniziato negli anni '20 del XX secolo, con Thomas Edison che credeva che ci potesse essere, tra le onde lunghe e le onde corte, una frequenza radio in grado di rendere possibile una qualche forma di contatto telepatico con l'altro mondo (Stemman 1975: 98).

È importante sottolineare che i pionieri della radio e della televisione, Marconi, Edison, Sir Oliver Lodge, Sir William Crookes, John Logie Baird, erano tutti convinti della realtà della comunicazione spiritica, e utilizzarono le loro competenze professionali per dimostrarla.

Le prime voci furono catturate su dischi fonografici nel 1938 e su registratori a nastro nei primi anni '50 del Novecento. A seguito della pubblicazione del libro di Bander, avvenuta nel 1973, il lavoro è stato intrapreso da migliaia di ricercatori in molti Paesi.

Il Vaticano e la metafonia

Sebbene la cosa non sia nota a molti cristiani - cattolici, protestanti e fondamentalisti - la Chiesa Cattolica ha avuto un atteggiamento positivo e di incoraggiamento nei confronti delle indagini sulla metafonia.

Due dei primissimi investigatori furono preti cattolici italiani, Padre Ernetti e Padre Gemelli, i quali si imbatterono casualmente nel fenomeno nel 1952 mentre stavano registrando dei canti gregoriani.

Padre Gemelli udì sul nastro la voce di suo padre che lo chiamava con il soprannome che aveva da bambino, e diceva "Zucchini, è chiaro, non sai che sono io?"

Profondamente perplesso a causa degli insegnamenti cattolici in materia di contatto con i morti, i due preti si recarono a Roma in visita a Papa Pio XII.

Il Papa li rassicurò:

Caro padre Gemelli, non ha davvero nessun motivo di preoccuparsi. L'esistenza di queste voci è un fatto rigorosamente scientifico e non ha nulla a che vedere con lo spiritismo. Il registratore è totalmente obiettivo. Riceve e registra solo le onde sonore da qualunque posto esse provengano. Questo esperimento potrebbe divenire la pietra angolare di un edificio per gli studi scientifici che rafforzerà la fede della gente nell'Aldilà (Rivista italiana Astra, giugno 1990 citata da Kubis e Macy, 1995: 102 ).

• Il cugino di Papa Pio XII, il Rev. Professor Dott. Gebhard Frei, co-fondatore dello Jung Institute, era un parapsicologo noto a livello internazionale e uno stretto collaboratore di Raudive, uno dei pionieri della ricerca. Fu anche Presidente della Società Internazionale dei Parapsicologi Cattolici. È nota questa sua affermazione:

Tutto ciò che ho letto e sentito mi obbliga a credere che le voci provengono da entità trascendentali e individuali. Mi piaccia o no, non ho il diritto di dubitare della genuinità delle voci (Kubris e Macy, 1995: 104).

• Il Dott. Professor Gebhard Frei morì il 27 ottobre del 1967. Nel novembre del 1967 in numerose registrazioni si presentò una voce che si identificò con il nome di Gebhard Frei. La voce venne riconosciuta dal Prof. Peter Hohenwarter dell'Università di Vienna e venne attribuita al Dott. Frei (Ostrander e Schroeder, 1977: 271).

• Papa Paolo VI era a conoscenza del lavoro sulla metafonia compiuto fin dal 1959 dal suo caro amico, il produttore cinematografico svedese Friedrich Jürgenson, il quale aveva realizzato un film su di lui. Per il suo lavoro, nel 1969 il Papa nominò Jürgenson Cavaliere dell'Ordine di S. Gregorio. Jürgenson scrisse a Bander, il ricercatore britannico sulla metafonia, le seguenti parole:

In Vaticano ho incontrato un atteggiamento favorevole nei confronti della metafonia. Ho stretto molte splendide amicizie fra le figure di spicco della Città Santa. Oggi "il ponte" si regge stabilmente sulle sue fondamenta (Ostrander e Schroeder, 1977: 264).

• Il Vaticano diede anche ai propri preti il permesso di indagare sul fenomeno delle voci - Padre Leo Schmid, un teologo svizzero ne raccolse più di diecimila nel suo libro Quando i Morti Parlano (When the Dead Speak), libro che venne pubblicato nel 1976, poco dopo la sua morte.

• Un altro ricercatore che ebbe il placet del Vaticano fu Padre Andreas Resch, il quale, oltre a condurre degli esperimenti in prima persona, tenne corsi di parapsicologia presso la scuola sacerdotale del Vaticano a Roma (Kubris e Macy, 1995: 104).

• Nel 1970 la Società Internazionale dei Parapsicologi Cattolici tenne una conferenza in Austria; gran parte della conferenza si occupò dei documenti sulla metafonia.

• In Inghilterra, nel 1972 quattro membri dell'alta gerarchia cattolica parteciparono alle famose prove di registrazione dello studio di Pye condotte da Peter Bander (Connelly 1995: 44).

• Padre Pistone, Superiore della Società di San Paolo in Inghilterra, dopo le prove rilasciò in un'intervista le seguenti parole:

Nelle Voci non vedo niente di contrario agli insegnamenti della Chiesa Cattolica; sono qualcosa di straordinario ma non c'è ragione di temerle, né vedo alcun pericolo (Bander 1974: 132).

La Chiesa si rende conto del fatto che non può controllare l'evoluzione della scienza. Qui siamo di fronte ad un fenomeno scientifico; questo è il progresso e la Chiesa è favorevole al progresso. Sono contento di vedere che i rappresentanti della maggior parte delle Chiese hanno adottato il nostro stesso atteggiamento: noi riconosciamo che l'argomento delle Voci stimola l'immaginazione persino di coloro che hanno sempre sostenuto che non ci potessero essere prove o basi di discussione in materia di vita dopo la morte. Questo libro e gli esperimenti successivi sollevano seri dubbi, anche nella mente degli atei. E già questa è una buona ragione perché la Chiesa appoggi gli esperimenti. Un seconda ragione può essere individuata nella maggiore flessibilità adottata dalla Chiesa fin dal Concilio Vaticano II; vogliamo mantenere una mentalità aperta su tutte quelle questioni che non contraddicono gli insegnamenti della Chiesa (Bander 1974: 103).

• Sua Eccellenza l'Arcivescovo Cardinale, Nunzio Apostolico in Belgio commentò:

Naturalmente è tutto molto misterioso, ma sappiamo che le voci ci sono per essere ascoltate (Bander 1974: 132).

• Il Giusto Reverendo Mons. Prof. C. Pfleger commentò:

I fatti ci hanno dato la consapevolezza che fra la morte e la risurrezione c'è un altro stadio di esistenza post mortem. La teologia cristiana ha poco da dire riguardo a questo stadio (Bander 1974: 133).

• Il libro di Bander (1973: 133) contiene una fotografia del Giusto Reverendo Mons. Stephen O'Connor, Vicario Generale e Principale Cappellano Cattolico Romano presso la Marina Britannica, mentre ascolta una registrazione in cui si era manifestata una voce che sosteneva d'essere quella di un giovane ufficiale della Marina che si era suicidato due anni prima. Ironicamente, il Dott. Raudive aveva registrato autonomamente lo stesso messaggio qualche tempo prima.

• Fin dagli anni '70 del Novecento, il Vaticano ha continuato a sostenere una ricerca approfondita in tutte le aree della parapsicologia, compresa la metafonia.

• Recentemente Padre Gino Concetti, uno dei teologi più competenti del Vaticano, ha detto in un'intervista:

Secondo il catechismo moderno, Dio consente ai nostri cari defunti, che vivono in una dimensione ultra-terrena, di inviare messaggi per guidarci in certi momenti difficili della nostra vita. La Chiesa ha deciso di non proibire più il dialogo con i morti, a condizione che questi contatti siano motivati da seri propositi religiosi e scientifici (pubblicato sul quotidiano vaticano L'Osservatore Romano - citato su Sarah Estep's American Association Electronic Voice Phenomena, Inc Newsletter, Vol 16 No, 2 1997 )

Ovviamente, la Chiesa si rende conto del fatto che la scienza sta facendo progressi enormi, inevitabili, irreversibili e cumulativi che nessuno ha l'autorità di fermare.
OFFLINE
27/05/2013 12:55

Mi piace l'argomento "Metafonia". Ne parlavamo mesi fa, in un'altra sezione del forum... [SM=g2806959] [SM=g3061192]
27/05/2013 12:57

Si, ricordo bene [SM=g8320]
Qui la discussione di cui parla regulus:
ufoonline.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=...
28/05/2013 10:20

ROBERTO E LA STORIA DEL CERCHIO FIRENZE 77 - PARTE 1

Fonte: www.cerchiofirenze77.org/storia_del_cerchio/index.htm

Quando Roberto nacque - il 7 novembre 1930 - io avevo quasi undici anni, mio fratello Ruggero ne aveva appena compiuti nove. Fu molto amato da noi fratelli, dalla mamma e dal babbo: via via che cresceva, così aggraziato, mite e timido, si faceva amare da chiunque lo avvicinasse. La sua è stata un'infanzia normale e abbastanza tranquilla, almeno fino a dieci anni. Non eravamo ricchi, ma la nostra casa era dignitosa e comoda e la mamma la teneva sempre ordinata e pulita. Il babbo stava via tutto il giorno, un po' per il suo lavoro, un po' perché amava più stare con gli amici che con la sua famiglia. Solo da grandi ci siamo accorti che questo faceva soffrire molto la mamma, ma a noi ragazzi bastavano il suo amore, il suo equilibrio, le sue cure e non ci accorgevamo della poca assiduità del babbo.



Ricordo certi pomeriggi quando la mamma si sedeva vicino alla finestra con la scatola del lavoro e il bucato da riguardare e noi tutti e tre intorno a lei. Io leggevo ad alta voce il libro “ Cuore ”, “ Il piccolo Lord ”,
“ Senza famiglia ”, “ Il giardino segreto ”, “ Gian burrasca ” e le novelle di Perrault e dei Fratelli Grimm. Roberto si commuoveva molto alle storie tristi e se il finale non era lieto, dovevano inventarlo lieto per lui.
Era un bambino molto intelligente: aveva imparato a parlare molto prima degli altri bambini della sua età. An­dava d'accordo con tutti i bambini del vicinato che venivano spesso a giocare con lui nel giardino della nostra casa. Il rione di S. Jacopino, dove noi vivevamo, era allora una periferia tranquilla: le strade sembravano più larghe senza le auto in sosta e al posto delle file di alti caseggiati di adesso, vi erano delle villette a un piano con il giardino intorno.
C'erano ancora diverse case coloniche con i campi e gli orti che confinavano con l'argine del torrente Mugnone: i contadini permettevano ai bambini del vicinato di giocare nei loro spiazzi erbosi, purché non toccassero le viti e gli alberi da frutto. Nelle sere d'estate, per le strade e nei giardini, volteggiavano centinaia di lucciole: io e Ruggero ne prendevamo qualcuna e la mettevamo sotto un bicchiere per Roberto, che era affascinato dalla misteriosa luminosità di quei piccoli insetti.
Quando iniziò ad andare alle scuole elementari, io lo accompagnavo alla scuola Rossini; gli riguardavo i compiti, ma lui era molto bravo e ha sempre saputo cavarsela da solo.
Gli piaceva molto il cinema: quanti bei film abbiamo visto insieme: “ Capitani coraggiosi ”, “ Le avventure di Tom Sawyer ” “ Biancaneve ed i sette nani ”, “ David Copperfield ”, “ Oliver Twist ”.
Anche quando mi fidanzai, a 19 anni, Roberto veniva fuori con me perchè allora non si usava che i fidanzati uscissero soli.
Il mio matrimonio coincise con l'inizio della guerra, ed io partii con mio marito che era stato assegnato al Comando in Capo della Marina a Taranto.
Mio fratello Ruggero si sposò nel 1941 e partì subito per la guerra come pilota aviatore. Così per parecchio tempo siamo stati lontani da Firenze e Roberto rimase solo col babbo e con la mamma. Ho saputo dopo che soffrì molto per questo distacco, anche perché - ora che noi più grandi ce ne eravamo andati - certe intemperanze del carattere di mio padre si erano fatte più evidenti. La mamma era triste e trepidante per Ruggero sempre in pericolo sull'aereo. La mia giovane cognata Franca viveva con i suoi genitori.
Ma anche la guerra finì e ci ritenevamo fortunati di ritrovarci tutti per ricominciare la vita normale. Ruggero e mio marito, che non avevano aderito alla Repubblica di Salò, si erano iscritti al “ Partito d'Azione ” e specialmente Ruggero s'impegno' subito politicamente. Ricordo che nella primavera del 1946 era occupatissimo nei preparativi delle prime elezioni che dovevano decidere della Repubblica o della Monarchia. Mio marito aveva ricominciato a lavorare come geometra all'Enel (allora Soc. Elettrica del Valdarno); mio figlio Gilberto aveva quattro anni; la figlia di Ruggero, Gabriella, due anni. Spesso ci riunivamo tutti insieme e il nostro Roberto era molto fiero di esse­re zio fin da quando aveva undici anni.
A scuola continuava ad andare molto bene: il suo hobby era costruire piccoli apparecchi radio a galena.


Roberto[/size=1]

Il 2 aprile 1946, la tragica morte di Ruggero: non aveva ancora venticinque anni, era sano, allegro, bello, pieno di speranze per il futuro. Per noi tutti - che ci ritenevamo fortunati di non averlo perso in guerra - fu un colpo terribile. Sua moglie Franca aveva solo ventidue an­ni: tutti eravamo inconsolabili, ma quella che non si dava pace era la mia mamma.
Cominciò a pensare che forse Ruggero avrebbe voluto parlarci, che non era possibile non sapere più niente di lui, non era possibile che tutte le sue energie, il suo coraggio, la sua gioia di vivere, se ne fossero spariti in un attimo nel nulla.
La mamma ricordava l'esperienza di una nostra zia, che anni prima era entrata in contatto con una medium di Bologna con risultati piuttosto incoraggianti, dai quali aveva tratto la convinzione che esiste la possibilità di comu­nicare con una dimensione diversa.
Noi tutti, cioè io, mio marito, mio padre, mia cognata, cercavamo di dissuaderla: non ci eravamo mai occupati di simili cose. Direi che ne avevamo un senso di diffidenza e non ci interessavano né gli oroscopi, ne' la lettura delle carte, né la radioestesia. “ E poi - dicevamo alla mamma - per avere queste comunicazioni ci vuole un medium ”. E la mamma: “ Qualcuno fra noi potrebbe esserlo ”.
Nel pomeriggio del 28 maggio 1946, in casa dei miei genitori presente la zia che aveva avute quelle esperienze, decidemmo di accontentare la mamma, convinti che di fronte all'esito negativo di questo esperimento si sarebbe calmata. Istruiti dalla zia sulle modalità delle sedute, in pieno giorno, ci sedemmo intorno ad un tavolino piuttosto basso. Eravamo in sette, facemmo la catena tenendo la punta delle dita sul piano del tavolo. Dopo pochi minuti il tavolo si alzò e ondeggiò fra noi, battendo dei colpi: l'emozione fu enorme. Ricordo benissimo che Roberto, allora quindicenne, diventò molto pallido e noi, un po' preoccupati, decidemmo di smettere subito.
La sera, a casa mia, raccontai tutto a mio marito: ma egli era scettico, pensava che ci fossimo tutti suggestionati e propose di riprovare a casa nostra, ma senza Roberto che era troppo giovane per simili emozioni.
Un pomeriggio mandammo Roberto e mio figlio Gilberto al cinema e riprovammo l'esperimento con le stesse persone presenti la prima volta. Ma non successe niente, il tavolo non si mosse né si sollevò di un centimetro.
Mio marito sperava che di fronte a questo esito ne­gativo ci fossimo tolte queste idee dalla testa: ma ora anch'io ero interessata. Ero sicura che il tavolo si era mos­so e sollevato tanto da non poterlo più seguire con le braccia in alto: poi era ripiombato in terra battendo dei colpi, ripetutamente.
Così, quando anche Roberto insisté per provare un'altra volta e disse che lui non si era per niente spaventato alla prima esperienza, anche mio marito fu consenziente. Con Roberto in catena il tavolo si sollevò come la prima volta e quando domandammo chi era il medium, con i colpi il tavolo compitò

“Roberto”

Iniziò così l'estrinsecazione della sua medianità: per poco tempo con il tavolo, poi passò alle comunicazioni per scrittura automatica. Cioè Roberto sentiva il braccio e la mano destra come autonomi dalla sua volontà e scri­veva con varie grafie, ad occhi chiusi. Ruggero ebbe veramente delle cose da comunicare alla sua giovane moglie, a noi tutti. Ci indicò dove teneva un suo diario, citò e terminò l'ultima frase del diario stesso. Per un po' di tempo comunicò con noi, insieme ad altre entità legate ai presenti alle sedute da vincoli di parentela o di affetto che si presentavano con la grafia di quando erano sul piano fisico.
Verso la fine del 1947, Roberto ebbe la sua prima trance ad incorporazione, anche quella inaspettata: eravamo riuniti intorno ad un tavolo per una delle consuete serate tra noi amici, quando Roberto scrisse medianicamente, con una grafia sconosciuta, che dovevamo concentrare la nostra attenzione su un oggetto che si trovava in mezzo al tavolo. Noi credevamo si trattasse di un espe­rimento di telecinesi e non toglievamo gli occhi dall'oggetto indicato. Ad un tratto Roberto parve addormentarsi e iniziò a parlare con voci diverse dalla sua.
Da allora fu un crescendo di esperienze: le entità legate a noi da vincoli di affetto si presentavano sempre in minor numero, sostituite da entità sconosciute che ci parlavano in modo dolce e suadente, in un linguaggio perfetto anche nella forma. Ci insegnavano tante cose e ci spiegarono anche che, una volta raggiunta la certezza interiore che i nostri cari trapassati esistono ancora - seppure in un piano di esistenza diverso - è giusto che essi si svincolino del tutto dai piani più grossolani e proseguano le loro riflessioni sulle esperienze fatte nella vita terrena.
Ora ci riunivamo per ascoltare gli insegnamenti, con una certa curiosità di sapere chi fossero le entità sconosciute che si presentavano, o per lo meno avere notizie sulle personalità che esse avevano rivestito sul piano fisico. Ma su questo non hanno mai detto niente, affermando che non ha importanza da chi viene l'insegnamento, ma ha importanza solo il fatto che esso trovi una risonanza in noi, che sappia suscitare i nostri sentimenti migliori, che dia serenità, che sia consono alla nostra logica. Lo stesso Kempis ci ha sempre detto di non identificarlo con Tommaso da Kempis.
Nel frattempo avevamo letto i libri di Kardec e di Leon Denis e ci eravamo documentati su ciò che era stato scritto sullo spiritismo, anche perché io e mio marito sentivamo in pieno la responsabilità di proteggere e guidare Roberto, ora diciassettenne. Fummo rassicurati da un'entità che si presentò come la Guida di Roberto, con il nome Dali (non Dalì come spesso sentiamo pronunciare), dalla voce dolcissima e rassicurante e che si annunciava sempre con un intenso profumo di violette.
Dopo i profumi, avvennero i primi apporti - piccoli oggetti che si sentivano cadere anche a luce accesa o in pieno giorno - le luminosità, la levitazione di Roberto: ho il ricordo chiaro di una volta che Roberto fu sollevato con la poltrona su cui sedeva e collocato su un tavolo che si trovava nella sala di riunione.
A diciotto anni Roberto si diplomò geometra e nacque subito il problema di cercarsi un lavoro: mio padre, per certe sue sbagliate iniziative, aveva dovuto cedere la sua attività ad un socio e il denaro scarseggiava. Alcuni medium a pagamento chiesero a Roberto di “ collaborare ”con loro, naturalmente dietro compenso. Altre persone si dichiararono disposte a pagare profumatamente pur di assistere ad una seduta: ma Roberto rifiutò sempre, categoricamente, di ricavare il minimo vantaggio economico da questa sua prodigiosa medianità. E così è stato per tutti questi trentasette anni!
Fino a che Roberto non ebbe ventuno anni, io o mio marito fummo sempre presenti alle sue sedute, che si svolgevano nella nostra casa di via delle Ruote. Poi, dal 1952, si sono svolte anche in case di amici intimi: Roberto era ben protetto dal suo Spirito Guida, che di volta in volta indicava la data in cui poteva svolgersi la prossima seduta. Dico “ poteva ” perché Roberto è stato sempre lasciato libero di rendersi disponibile o no. Non potevamo però essere noi a decidere di tenere una seduta, poiché se ci riunivamo in una data diversa da quella indicata dalla Guida, non avveniva niente.
Nel 1952 cominciammo a conoscere l'uso del magnetofono: così potemmo registrare gli insegnamenti e poi trascriverli, distribuendoci tra noi i dattiloscritti per leggere e meditare i messaggi. Fino ad allora erano state le entità stesse a ritrascrivere - con la scrittura automatica - tutti i messaggi orali che ci venivano dati. L'amica Wanda Carboncini li dattilografava e li distribuiva a noi. Il magnetofono evitava a Roberto la fatica di rendersi disponibile per la scrittura automatica.
Da quando Roberto aveva trovato un modesto impiego presso un'impresa edile, la sua vita si svolgeva tra lavoro, casa, incontri con gli amici del gruppo e incontri con gli amici della sua età. Era sereno, allegro, ma non desiderava essere conosciuto come medium da persone estranee al ristretto gruppo di ascolto. La sua vita di medium era completamente distinta dalla sua vita di uomo: egli ha sempre dichiarato di non avere mai avuto particolari intuizioni o sensazioni o altri fenomeni e di non aver mai provato senso di antipatia verso qualche persona. E sempre stato molto gentile e tollerante con tutti. Egli stesso leggeva con molta curiosità e interesse tutte le cose che per mezzo suo ci venivano comunicate.
I concetti che ci venivano prospettati, sulla reincarnazione, sulla legge di causa ed effetto, sull'evoluzione della coscienza, sulla costituzione dei vari piani di esistenza, erano a noi completamente sconosciuti. Il numero dei partecipanti alle sedute, pur essendo aumentato rispetto ai primi anni, non andava oltre le venticinque persone. Perciò ci conoscevamo tutti abbastanza intimamente e posso dire che le nozioni dei nostri amici su questi argomenti non erano molto più vaste di quelle di noi familiari.
Solo molto più tardi conoscemmo i libri della teosofia e grande fu la nostra gioia nel constatare che quello che sapevamo dalle nostre Guide corrispondeva in pieno a ciò che quei libri divulgavano. Ma il fatto che queste verità erano già state divulgate dalla teosofia o da altre discipline, non diminuisce l'importanza che le comunicazioni medianiche hanno avuto per noi. Infatti, se non fossero avvenute, noi non ci saremmo mai interessati di quegli argomenti che aprono uno spiraglio sull'esistenza di una diversa realtà.
Eravamo tepidamente religiosi, perché certi dogmi del cattolicesimo non ci appagavano, perché certe nostre domande non avevano trovato risposte soddisfacenti. Ora invece tutto ci era più chiaro e nella spiegazione di certi “ perché ” avevamo ritrovato la giusta tensione per indagare sempre di più sulle cose dello spirito.
Spesso ci è stato chiesto quale cambiamento aveva portato nella nostra vita il fatto di conoscere questi insegnamenti: per questo accennerò brevemente a cosa hanno significato per me.
Io ero molto giovane quando sono entrata in contatto con questi insegnamenti: la guerra ci aveva lasciati sconvolti, delusi su certi ideali. Vivevo con mio marito, mio figlio e i genitori di mio marito: avevamo molte difficoltà finanziarie poiché il lavoro di mio marito era l'unica fonte di guadagno. Allora non esistevano le pensioni sociali per gli anziani a carico, quelle pensioni tanto criticate per la loro esiguità, ma che in una famiglia possono dare un valido aiuto. Mio marito non voleva che io cercassi un impiego perché, durante la guerra, dopo l'allattamento di mio figlio, mi ero ammalata al torace e nell'anno di degenza al sanatorio di Pratolino avevo subito una delicata operazione.
Perciò la mia vita si svolgeva tra le pareti domestiche e qualche volta desideravo di fare qualcosa di più gratificante: ma le nostre Guide ci avevano detto:

“ Non pretendete da voi stessi grandi cose: cominciate da poco e da vicino: cominciate col fare interamente e con amore il vostro dovere, sia sul lavoro che in seno alla famiglia. Cominciate con l'amare di più i vostri familiari ed estendete questo amore a tutte le creature che avvicinate. Cercate di svolgere nel miglior modo possibile il ruolo che siete chiamati a rappresentare ”.

Compresi così quanto importante possa essere anche il ruolo da svolgere nel ristretto ambito familiare, il dedicarsi con serenità ai poco gratificanti lavori casalinghi, poiché la realizzazione di noi stessi non sta nell'importanza del lavoro che si svolge o nella possibilità di circondarsi di cose che ci valorizzino agli occhi degli altri, ma nella scoperta e nell'arricchimento del nostro io interiore.
Chiunque conduca la vita di donna di casa, sa però che esiste un pericolo: senza contatti o raffronti con persone culturalmente più dotate, senza mansioni che stimolino la nostra mente o problemi che implichino una certa elasticità di pensiero o una certa competitività, si rischia di indirizzare i nostri interessi a cose futili o inutili e di cristallizzare la nostra mente.
Ecco, nel mio caso, questo pericolo è stato scongiurato, non solo dal cercare di capire bene i messaggi etici e filosofici che ricevevamo in maniera così eccezionale, ma anche dalla spinta che ho ricevuto a leggere altri testi esoterici e filosofici, nella ricerca di conferme a quanto via via apprendevamo dai Maestri disincarnati. E quale intima gioia constatare come Essi avessero ulteriormente chiarito le spiegazioni che i filosofi e i mistici del passato hanno dato agli eterni interrogativi dell'uomo sulla vita e sulla morte, sul libero arbitrio, sul divenire ed essere! E quanti temi squisitamente attuali i Maestri ci avevano illustrato! La relatività del tempo e dello spazio, il mondo dell'apparenza e della Realtà, la natura divina o spirito come base di tutto l'esistente.
Nel 1955 entrarono a far parte del nostro gruppo anche l'attrice Nella Bonora e l'attore Corrado De Cristofaro con la sua compagna. Divennero molto amici di Roberto: Corrado e la sua amica avevano l'automobile e portavano i miei genitori e Roberto a fare lunghe passeggiate nei dintorni di Firenze. Mia madre era entusiasta di queste passeggiate e felice perché anche il babbo le gradiva molto.
Roberto si era fatto un bel giovanotto: molto alto, i lineamenti fini, un bel sorriso e i bellissimi capelli ondulati e scuri della mamma: passava le vacanze con le nostre cugine più giovani, aveva molto successo con le ragazze della sua età.
Molto riservato per quanto concerneva la sua vita sentimentale, non era però un moralista ottuso: mio figlio mi ha raccontato che quando si è rivolto a lui per certi consigli, Roberto ha saputo sempre sdrammatizzare le tensioni che nascono nel divenire uomo, parlandogli anche del sesso con molta serenità e considerandolo uno degli elementi che compongono l'esperienza umana. Parlando con lui, dice mio figlio, le difficoltà incontrate nei primi rapporti con le ragazze assumevano una diversa prospettiva ed accennando, con molta discrezione, alle sue esperienze, distruggeva l'alone di peccato che in quegli anni era ancora legato all'argomento.
Io spesso gli chiedevo dei suoi amori, ma lui sorrideva e mi diceva che non si sarebbe sposato fino a che le sue condizioni finanziarie erano così precarie, ora che i genitori erano completamente a suo carico. Io gli replicavo:
“ Ma ci sono anche delle ragazze che lavorano ”. E lui: “ Io non permetterò mai a mia moglie di lavorare per aiutarmi a mantenere i miei genitori: è un compito mio e basta ”.
Mia madre era molto brava nel condurre il ménage familiare e la famiglia ha sempre vissuto dignitosamente nella bella casa di via Lulli (grazie anche al fitto bloccato), dove ora vivevano solo i miei genitori e Roberto. La mia cognata Franca, dopo la morte di Ruggero, si era dovuta trovare un lavoro e viveva in casa di suo padre con la piccola Gabriella.
Nel 1956 Corrado De Cristofaro perse la sua compagna e rimase solo al mondo: chiese ai miei genitori di ospitarlo per un po' di tempo nella loro casa, poiché non se la sentiva di tornare a vivere dove la sua compagna era morta.
Si trattenne come ospite per due mesi, poi quando doveva decidersi a trovarsi una sistemazione diversa, chiese ai miei di trattenersi come ospite pagante. Mia madre si era molto affezionata a lui (aveva la stessa età che avrebbe avuto mio fratello Ruggero), e pensò anche che il suo contributo alle spese familiari avrebbe dato un certo sollievo anche a Roberto. Fu così che, dal 1956, Corrado è vissuto sempre con noi, condividendo tutte le gioie e le pene, proprio come un fratello.
Intanto gli argomenti svolti dalle nostre Guide si erano fatti sempre più interessanti; nel 1958 avevamo accumulato pagine e pagine di messaggi che trascrivevamo dalle registrazioni e decidemmo di farle stampare privatamente riunendole in un volume da distribuire fra gli amici e dividendoci fra noi le spese. Questo impegnativo lavoro fu svolto da Nella Bonora - come ella stessa ha narrato nel suo libro Con amore) per amore - sempre però con l'aiuto dei Maestri che, tramite Roberto in trance, correggevano e consigliavano l'impaginazione dei messaggi. Da allora il lavoro di trascrizione dei messaggi è stato sempre fatto da Nella Bonora. Per amore agli Istruttori disincarnati, imparò anche a scrivere a macchina: distribuiva a noi tutti i dattiloscritti e so che doveva farne diverse battute poiché allora non esistevano o non conoscevamo le fotocopiatrici. Dal 1959, per le sue vicende familiari, Nella Bonora si era trasferita da Roma a Firenze ed era venuta ad abitare proprio vicino alla casa di Roberto. Io pure, dopo la morte dei miei suoceri, avevo lasciato via delle Ruote e mi ero trasferita - con mio marito e mio figlio Gilberto - in una casa vicina a via Lulli.
NeI 1960 Roberto vinse un concorso per un posto d'impiegato al Comune di Firenze: ne fu molto felice perché le mansioni che doveva svolgere gli erano più congeniali e perché lo stipendio era migliore.
Per qualche anno avevo partecipato alle sedute saltuariamente: nel 1965 - dopo la stesura del nostro secondo libro “ Colloqui ” - ricominciai ad assistere a tutte le sedute e mi accorsi di quanto l'insegnamento fosse progredito. Ora gli argomenti andavano oltre le teorie espresse dalle filosofie orientali, dalla teosofia, dai libri, da Ramacharaka, Krishnamurti eccetera. Si trattava di vera filosofia esoterica. I Maestri avevano cominciato ad introdurci al concetto di Eterno Presente e di Dio-Assoluto, al concetto di “ eternità ” inteso come “ senza-tempo ” e non “ tempo senza fine ”. Ricordo che ad alcuni dei partecipanti gli argomenti erano un po' ostici e sembrava loro che conoscere queste profonde verità non avesse in effetti nessuna utilità per il vivere di ogni giorno: preferivano l'inse­gnamento etico, le spiegazioni sulla vita dell'aldilà, sulla legge di causa ed effetto o karma. Ma in una seduta ci fu detto:

“…Il vero scopo dell'esistenza delle sedute medianiche è l'insegnamento: perciò, quando si è potuto accertare che non siamo di fronte a quegli isterici vaniloqui che molto sovente si chiamano sedute spiritiche o medianiche, allora le porte della comunicazione devono aprirsi. Ma la comunicazione fra il mondo degli incarnati ed il mondo dei disincarnati, per essere all'altezza del miracolo che rappresenta, non può limitarsi a darvi notizie dei parenti trapassati o ad enunciarvi principi morali che più o meno le religioni, le filosofie conoscono e insegnano. Se il dialogo fra noi e voi deve continuare, dobbiamo parlarvi di qualcosa che va oltre, qualcosa che l'uomo da solo non può scoprire, se non quando è molto avanti nel sentiero dell'iniziazione. Per questo vi abbiamo portato, vostro malgrado, su terreni che possono offrire certe difficoltà di comprensione... Non possiamo continuare a ripetere quello che con tanto amore avete raccolto e che potete continuare a leggere e a meditare...”.

In un colloquio con Dali, io confessai i miei limiti e la mia decisione di accontentarmi di quello che avevo recepito fino ad allora. Ed egli, con la sua consueta dolcezza, mi rispose: “

Come vuoi, cara, ma ricordati che nella via verso l'evoluzione della coscienza c'è un momento in cui tutti devono acquisire queste conoscenze. E giacché in questa vita ti è offerta l'occasione di avere risposte a quesiti così importanti, perché vuoi fatti sfuggire l'occasione? ”.

Da quel momento dedicai tutta la mia attenzione all'insegnamento filosofico e sono lieta di essermi impegnata al massimo dei miei limiti, perché solo così posso es­sere certa di avete speso bene i talenti che in questa vita mi erano stati dati, intendendo per talenti la mia possibilità di attingere a questa fonte meravigliosa.
Le riunioni avevano assunto un ordine che, se anche non fu mai codificato, era diventato una normale consuetudine. Dopo la lettura della lezione ricevuta nella precedente riunione medianica, si intavolava la discussione sulla base delle domande di chiarimento che ciascuno faceva. Ognuno cercava di comunicare agli altri ciò che aveva capito e così facendo chiariva anche a se stesso le idee. Poiché le opinioni erano spesso diverse, il parteggiare per una opinione o per l'altra coinvolgeva anche chi non partecipava attivamente alla discussione.
Spesso cercavamo di trascinare anche Roberto nelle nostre disquisizioni, ma lui quasi sempre evitava di farsi coinvolgere, sapendo quanto peso avrebbe avuto la sua opinione, che ognuno di noi aveva sperimentato essere sempre ben radicata e ponderata. Così, probabilmente per paura di troncare, con le sue asserzioni, il nostro accalorato discutere, egli preferiva tacere. Ma a chi l'osservava con attenzione, mostrava la sua profonda partecipazione e i suoi rari interventi erano sempre estremamente succinti e tesi a sdrammatizzare gli apparenti o reali contrasti di interpretazione.
Fin dalle prime comunicazioni ci era stato detto dalle nostre Guide che essi non avrebbero potuto toglierci le esperienze dolorose che avremmo dovuto superare nella vita: potevano solo aiutarci ad accettarle, facendoci comprendete che ogni esperienza ha una sua valida ragione di esistere. E le esperienze dolorose ci sono state per tutti noi: l'alluvione di Firenze che semidistrusse la casa di via Lulli, l'infermità di mio padre per la frattura del femore, la mamma che si ammalò di cuore, Corrado che contrasse il diabete, mio marito che subì una grave operazione.
Dopo l'alluvione, Roberto, con i miei genitori e Corrado - che non ci aveva più abbandonato -, viveva in un condominio di via Francesco Doni, sempre nello stesso rione.
In tutti questi anni ha vissuto una vita normale, partecipando alle speranze e alle delusioni della nostra epoca, tenendosi sempre informato non solo dei piccoli e grandi drammi individuali che ognuno di noi gli confidava, ma anche delle tensioni politiche e sociali di cui soffriva con altrettanta partecipazione.
Nel 1969 mio figlio Gilberto si laureò in architettura: da tempo lui pure seguiva le nostre sedute ed anche per lui gli insegnamenti erano stati determinanti. Per sua stessa ammissione il fatto di avere sempre sentito parlare in casa di problemi trascendentali, di avere seguito fino da bambino le nostre conversazioni con gli amici, fece sì che giunto all'età in cui molti giovani, non trovando risposte soddisfacenti ai loro molti “ perché ”, rifiutano in blocco l'insegnamento religioso e si dichiarano atei, egli non avesse questa fase di smarrimento. Anzi aveva cercato sempre di trasmettere ai suoi amici, in animate discussioni, quella chiarezza interiore che egli aveva raggiunto proprio attraverso queste conoscenze. Molti dei suoi amici divennero amici di Roberto: Serenella, Amalia, Sergio, Giovanni, Emilio, Antonio.
In quegli anni le sedute si tenevano in casa di Nella Bonora. Nel 1973 stampammo privatamente il libro “ Sintesi”, sempre riunendo tutti i messaggi avuti e trascritti fedelmente, parola per parola, da Nella Bonora. I Maestri scartarono qualche pagina, ma nell'insieme si può dire che i vari messaggi furono lasciati nello stesso ordine cronologico, quasi come una raccolta di dispense universitarie.
Nel frattempo, alcune altre persone erano venute in contatto con noi, ma devo dire che in fondo il gruppo era piuttosto contrario ad ammettere persone nuove, poiché con le loro domande un po' elementari - o a volte solo curiose del fenomeno in sé - ci impedivano di andare avanti con l'insegnamento che adesso era a un livello molto alto. Consigliavamo perciò alle persone che desidera­vano assistere di dare una scorsa ai nostri libri, in maniera di sapere su che cosa vertevano i colloqui. Ma forse anche fra noi erano pochi quelli che si erano resi conto di essere di fronte ad un insegnamento quasi unico. Così, quando avemmo la manifestazione di quel Guru vivente che ci rimproverò di tenere per noi queste verità (descritto a pag. 35 del nostro libro Dai mondi invisibili) pensammo di aprire anche ad altri la possibilità di conoscere queste comunicazioni. Sì, è vero, nei primi anni ci era stato detto di tenere per noi queste esperienze, ma erano trascorsi 27 anni dalle prime sedute e forse qualcosa era cambiato...
Ed ecco che il 9 maggio 1974, durante una bellissima seduta, Kempis ci rivolse queste parole:

“ . . .Voi siete testimoni di questi colloqui, voi vedete ed udite cose che altre creature hanno cercato per tutta un'esistenza senza mai raggiungere... Voi che avete fatto una specie di abi­tudine all'inconsueto, al fenomeno, al fatto straordinario al di fuori delle leggi consuete della natura, dovete chiedervi, a questo momento, che cosa fate. Veramente il timore di parlare di spiritismo - e perciò posti in un certo senso in berlina - è la ragione vera che vi fa essere cauti e prudenti nei riguardi dei vostri simili? O non è piuttosto una forma di pigrizia, di non volersi impegnare, di non volersi adoperare? Poiché si è parlato del Cristo, questa sera, viene alla mente una parabola: la parabola dei talenti che forse bene si adatterebbe a taluno di voi. Pensate: questi studenti, laureati, studiosi, giovani in ge­nere che hanno una preparazione, che hanno visto e toccato con le loro stesse mani questi fenomeni, udito questi insegnamenti, che possono scrivere, fare degli articoli, perché non lo fanno? Noi siamo stati sempre contrari al­le forme di organizzazione e confermiamo questo: ma ciascuno, singolarmente, per propria parte, parlando senza citare la fonte, con tutte le cautele del caso - che non debba mettersi in ridicolo - quante volte potrebbe parlare ad un suo vicino ed aiutarlo e non lo fa? Ma perché non lo fa? Qualunque sia la ragione è una ragione errata, credetelo, fratelli ”.

Allora non avemmo più dubbi: per mezzo della signora Zoe Alacevich inviammo i nostri tre libri al Centro Informazioni di Parapsicologia di Napoli - diretto dal prof. Giorgio di Simone - ricevendone una lusinghiera recensione. Incoraggiati, incominciammo a scrivere articoli e li inviammo alla rivista “ Gli Arcani ” di Milano, che li pubblicò dal 1974 al 1977. Descrivevamo come avvenivano gli apporti - ormai ne avevamo ad ogni seduta -in quali occasioni avvenivano, raccontavamo aneddoti di identificazioni spiritiche: ma riuscivamo anche ad includere brani d'insegnamento e lo strano è che proprio quelli colpivano l'attenzione dei lettori della rivista, che inviavano lettere di simpatia e richieste di sapere di più su questo insegnamento.
Intanto avevamo dovuto dare un nome al nostro gruppo, tanto da poter catalogare come provenienti dalla stes­sa fonte i messaggi ed i fenomeni di cui parlavamo. Il primo articolo era stato inviato nell'estate del 1974, nel periodo in cui non c'erano sedute e non potevamo chiedere alle Guide come chiamarci. Per una serie di motivi decidemmo di chiamare il nostro gruppo “ Cerchio Firenze 77 ”. Il sette è il numero fondamentale del modulo del nostro cosmo - cosi ci avevano detto le Guide -; Roberto, Luciana, Cerchio Firenze sono parole di sette lettere, il nostro cognome è Setti, noi cinque della fa­miglia siamo nati in giorni col numero sette: Roberto il 7 novembre, Ruggero il 27 settembre, la mamma il 17 gennaio, il babbo il 17 luglio. Inaspettatamente, poi, il nostro primo libro - edito dalle Edizioni Mediterranee -è uscito nel novembre del 1977. La medianità di Roberto è durata 37 anni e nove mesi.
Con la pubblicazione degli articoli, tante e tante persone chiesero di partecipare alle nostre sedute: per fortuna, dal 1973 le sedute si svolgevano in casa mia, una villetta nei dintorni di Firenze che mio marito si era fatto costruire con la liquidazione dell'Enel. Silenziosa, in mezzo al verde, era il posto ideale per questo tipo di esperienze: e poi potevo invitare a turno le persone nuove senza disturbare gli amici che fino ad allora avevano offerto la loro casa.
Quante persone importanti si sono avvicendate nella vasta stanza che ospitava le nostre sedute! Ora avvenivano solo una volta al mese, ma erano molto impegnative, sia per i fenomeni fisici, sia per i contenuti dei messaggi delle entità, che si alternavano ormai da tanti anni: Dali, Kempis, Claudio, Fratello Orientale, Teresa, Lilli, Alan. Ognu­na con un suo modo particolare di porgere l'insegnamento, chi in chiave mistica, chi in chiave etica o filosofica o analitica: ognuna con una sua voce particolare che si è mantenuta eguale nel tempo. Gli apporti avvenivano ad ogni seduta; qualche volta a luce accesa, ma quasi sempre al buio a materializzazione lenta, tra le mani luminose del medium; l'entità che presiedeva a questi fenomeni - Michel - invitava le persone più vicine a toccare gli oggetti nelle varie fasi di materializzazione. E poi profumi, piogge di foglie d'olivo, di foglie di rose e di rose intatte, levitazione del medium, luminosità vaganti.
Nel 1975, per mezzo degli articoli su “ Gli Arcani ”, conoscemmo il fisico di Genova dr. Alfredo Ferraro, che da allora ha partecipato per quattro anni ad ogni nostra riunione. Scrisse bellissimi articoli, descrivendo le modali­tà degli apporti e documentando le materializzazioni con fotografie eseguite durante le sedute mentre l'apporto era in formazione.
Incoraggiati dalle lettere dei lettori de “ Gli Arcani ”e dall'entusiasmo delle persone nuove che ammettevamo alle nostre riunioni, decidemmo di stampare pubblicamente quello che avevamo raccolto fino ad allora: il nostro pri­mo libro Dai Mondi Invisibili è un rifacimento dei libri stampati privatamente con i titoli Incontri e Colloqui e il secondo - 0lire l'Illusione - è il libro Sintesi con ag­giunta di alcune lezioni del 1977.
Anche i libri ebbero una vasta eco: ricordo con simpatia l'entusiasmo del compianto prof. Giulio Cogni, espresso così bene nella sua prefazione al libro 0ltre l'Illusione. Ho tante bellissime lettere di persone che si dicono bene­ficate dalla lettura dei testi, che affermano di avere avuta la vita cambiata nella comprensione di certe verità, di non sentirsi più sole, di desiderare di leggere ulteriori messaggi. Naturalmente, giunsero anche richieste di partecipare alle sedute o di entrare a far parte del Cerchio pagando una quota d'iscrizione: stentavano a credere che in realtà non esistesse un vero cerchio, nè una vera sede o un organizzazione con statuti e regolamenti, contributi o quote di partecipazione. Ma noi non avevamo mai pensato a crea­re cose del genere in ossequio a quanto i Maestri ci avevano detto:

“ . ..Le organizzazioni, le leggi, i comandamenti morali o religiosi sono necessari per impedire all'individuo di compiere quegli atti che la poca evoluzione può portarlo a compiere. Successivamente, quando l'evoluzione o la maturazione spirituale dell'individuo è tale per cui egli non compirebbe più atti di violenza per assecondare il proprio egoismo, anche se non vi fossero proibizioni formali, le organizzazioni perdono il loro significato. Vanno bene per le conquiste umane, per quello che l'uomo non riesce ad ottenere singolarmente in fatto di mete sociali, ma sono contrarie allo spirito stesso della verità dell'insegnamento quando siano costituite e fondate con l'intenzione di fare evolvere l'individuo. Chi si accosta ad una organizzazione spirituale con lo scopo di evolvere se stesso, di raggiungere una meta, in effetti non fa che assecondare il processo di espansione dell'io. La verità è una conquista del singolo: noi stessi non abbiamo la pretesa di portarvi la verità. Possiamo darvi solo delle indicazioni... Non veniamo per fare dei proseliti, dei seguaci di un'etichetta: semmai veniamo per distruggere tutto ciò che vi inibisce la comprensione; le suddivisioni razziali, morali, religiose, sociali e via dicendo, tutto quanto vi impedisce di avvici­nare i vostri simili e comprenderli. Se le verità che conoscete vi impedissero di andare incontro a chi non la pensa come voi, voi non le avreste comprese... e siete voi che dovete comprendere, nessuno può farlo al posto vostro ”.

Ora che esistevano i libri, il compito di scegliere le persone da ammettere alle sedute era facilitato. Infatti, non si rischiava più di far entrare persone incuriosite solo dal fenomeno fisico o desiderose di avere risposte ai loro quesiti personali. Ormai chi ci avvicinava conosceva la profondità degli argomenti trattati ed era conscio di assistere a qualcosa di diverso di una normale seduta spiritica.
Quanti giovani ora venivano regolarmente o si riunivano fra loro a rileggere i messaggi e a discuterne! E questo era motivo di grande gioia per Roberto che fino ad allora era stato circondato da persone di età più matura della sua. Ormai il vecchio gruppo cominciava ad essere vecchio in tutti i sensi; molti cari amici avevano lasciato il piano fisico ed era consolante vedere facce giovani intorno a noi.
Nell'autunno del 1978 Roberto cominciò ad accusare una certa debolezza alle gambe: fino ad allora non aveva mai sofferto del minimo disturbo. Anche dopo le sedute si sentiva benissimo e non accusava stanchezza. Del resto, le sedute non erano mai più di otto o nove in tutto l'anno, poiché dal giugno all'ottobre ci riunivamo solo per parlare fra noi e rileggere i messaggi. Aveva un fisico perfetto e dimostrava molto meno dei suoi quarantotto anni.
Talvolta il suo modo di fare schivo e rispettoso fino allo scrupolo metteva in soggezione e poteva dare l'impressione che non volesse aprirsi completamente; ma chi ha avuto bisogno delle sue parole e della sua presenza sa quanto ampia fosse la sua disponibilità e capacità di amore, di un amore imparziale e così poco possessivo anche nei ri­guardi di noi più stretti congiunti che qualche volta ci era incomprensibile. Infatti, il suo affetto e la sua comprensione sgorgavano solo alla nostra richiesta, senza mai prevaricare e senza mai pretendere attenzioni per se stesso.
Il lavoro al Comune di Firenze gli piaceva molto e nel suo ambiente di lavoro era molto apprezzato. Nel tempo libero si occupava di elettronica, ascoltava musica, leggeva; qualche volta andava al cinema con Corrado e due amiche del Cerchio. Ma più di tutto amava starsene tranquillo in casa: anche per le vacanze sceglieva posti con poca confusione e con pochi amici. Io mi meravigliavo molto del tipo di vita che conduceva e gli dicevo:
“ Se fossi io un giovanotto libero, pieno di fascino come te, sai come mi piacerebbe andare alle feste da ballo, frequentare posti alla moda, fare lunghi viaggi... ”. E lui rideva di questa voglia di divertirmi che mi era rimasta, nonostante fossi ormai una signora un po' matura.
Il babbo era trapassato e la mamma era venuta a vivere con me a Ceppeto: non poteva più occuparsi della casa ed io ero felice di averla con me. Roberto veniva spesso a pranzo da me e nel mese di agosto passava qualche giorno con noi.
Io avrei voluto averlo anche più spesso, ma Roberto era pieno di riguardi e temeva sempre di disturbare: non sapevamo mai quali erano le cose che gli procuravano veramente piacere o quelle che faceva per far piacere a noi. Il fatto è che cercava di pesare il meno possibile sugli altri e da quando la mamma non stava bene, faceva da sé tutte le cose che la donna a ore non arrivava a fare.
Ricevevamo tante lettere e rispondevamo a tutte: quelle con domande difficili le passavo a Roberto o gli chiedevo cosa dovevo rispondere. Era bello lavorare insieme, interessarsi alle stesse cose... Ora però mi sembrava che il fratello maggiore fosse lui, così saggio e così lungimirante!
Le sedute continuavano ad essere bellissime: ormai le persone che partecipavano regolarmente erano più di sessanta e avevamo dovuto dividere il gruppo di ascolto in quattro turni, vale a dire che a ciascun gruppo non era dato di assistere a più di due sedute l'anno. Ad ogni seduta ammettevamo due o tre osservatori occasionali, scelti tra le decine e decine di persone che ne facevano richiesta. Inoltre, ogni sabato ricevevamo le persone che desideravano conoscerci e parlare con noi.
Eppure, qualcuno ancora affermava che eravamo un cerchio chiuso!
Ricordo con particolare nostalgia la serata del 20 gennaio 1979, che doveva essere la penultima delle sedute vecchia maniera. Nella mia casa di Ceppeto erano presenti più di venti persone. Quella era la serata dedicata agli amici di fuori Firenze; infatti i presenti venivano da Genova, Bologna, Bolzano, Siena, Modena, Roma. Erano presenti tre fisici (il dr. Alfredo Ferraro, il dr. Gianmarco Rinaldi, il prof. Luigi Stringa), l'avv. Claudio Schwarzen­berg, il prof. Giulio Cogni, la sig. Lina Brady, il prof. Leo Magnino, il prof. Amedeo Rotondi, il nostro Editore, Gianni Canonico delle Mediterranee, Silvio Ravaldini e signora, Riccardo Cesanelli e signora e la cara amica dott.ssa Paola Giovetti.
Era uscito da poco il nostro secondo libro Oltre l’illusione e ne eravamo felici: era davvero bellissimo e lo commentammo insieme, tutti seduti in cerchio ai lati della poltrona su cui era seduto Roberto.
Poi, come al solito, leggemmo alcuni brani della seduta precedente per creare un'atmosfera di raccoglimento, spengemmo la luce e rimanemmo in attesa in silenzio. La trance avvenne quasi subito, preannunciata dal respiro ritmico di Roberto, quasi una respirazione yoga. Il primo ad intervenire fu Dali; come sempre il suo discorso iniziale era in funzione del pensiero dei presenti: quella volta, fra l'altro, disse:

“ . . .per comprenderci voi dovete essere disposti a dimenticare le vostre convinzioni e a raffrontarle poi con il nostro messaggio, quando veramente siete sicuri di aver ben compreso il suo significato. Altrimenti, se subito scartate quello che contrasta con le vostre convinzioni, non riuscirete mai a comprendere appieno quello che vogliamo significare...”.

Subito dopo, la Guida preposta ai fenomeni fisici, Michel, materializzò fra le mani luminose del medium, un pic­colo oggetto che consegnò al prof. Luigi Stringa dicendogli:

“ Vedi, è in atto di spiccare il salto ”. (Vedemmo poi che era un ranocchio in argento e pietre colorate).

Alla signora Lina Brady, figlia del dott. Gastone De Boni, fu materia­lizzata una cavigliera indiana in argento: un oggetto singolare e delizioso, lavorato a traforo e con una frangia a piccolissimi pendagli.
L'intervento di Kempis fu molto lungo e bellissimo: è riportato a pag. 193 del nostro quarto libro Le Grandi Verità. Verteva sul significato filosofico delle teorie della relatività e finiva con queste parole:

“ . . se le scoperte scientifiche progredissero di pari passo con la giusta interpretazione dei fenomeni, voi assistereste al progressivo dissolversi di tutti i sistemi chiusi e comprendereste che ogni percezione della realtà è una immagine e come tale è incompleta e inesatta. Nel mondo della percezione, le scoperte scientifiche sono vere sempre e solo per approssimazione. La realtà, nella sua essenza, è irraggiungibile. Ma questo non significa che l'uomo debba volgere la sua attenzione e credere vero ed esistente solo ciò che percepisce e quale lo percepisce: ma deve dargli la misura della sua dimensione. Questo, in fondo, è anche il significato filosofico delle teorie " speciale " e "generale " della relatività ”.

Tutti i presenti rimasero colpiti dalla chiarezza della esposizione dei concetti, dalla impeccabile forma letteraria e dalla perfetta dizione. Dirò per inciso che tutti i messaggi che riportiamo sui nostri libri non hanno subito la benché minima manipolazione da parte nostra: le entità hanno sempre avuto un modo di parlare fluente, senza er­rori o interruzioni, e una perfezione di linguaggio degna dei più trascinanti oratori.
Dopo la seduta rimanemmo ancora un po' a parlare con Roberto che, svegliandosi dalla trance, desiderava sapere quello che era accaduto; la sua era una trance completa e non si rendeva conto di niente. Solo dopo, dal magnetofono, poteva seguire tutto quello che era accaduto.
Fotografammo gli apporti con la Polaroid prima che le persone alle quali erano destinati se li portassero via. Ognuno raccontava le sue impressioni e Roberto ascoltava con interesse le espressioni di meraviglia che le luci, i profumi, gli apporti, i contenuti stessi dei messaggi avevano suscitato.
Eravamo ancora sereni quella sera: il disturbo di Roberto non ci preoccupava: il medico gli aveva fatto eseguire varie analisi, ma non era risultato niente e con una cura di pillole contro l'astenia si sperava che tutto passasse.
Così ci salutammo felici per le belle cose viste e udite e per essere stati accomunati in esperienze che a pochi è dato di vivere.
Nei giorni che seguirono Roberto aveva sempre meno forza nelle gambe: per due volte, mentre percorreva a piedi il tratto di strada che lo separava dalla fermata dell'autobus in piazza del Duomo alla sede del Comune di Firenze in piazza Signoria, sentì piegarsi le ginocchia a metà strada.
Alla seduta del mese di febbraio decidemmo di sospendere le sedute, nel timore che la trance danneggiasse Roberto: lo comunicammo a Dali e gli chiedemmo anche notizie sulla malattia di Roberto. Con la sua dolce voce ci rispose: “ Come volete cari: ma ricordate che sarebbe stato delittuoso da parte nostra servirci di Roberto se questo doveva danneggiarlo. Ho udito le vostre domande, figli! Vedete, cari, voi siete nella vita per avere delle esperienze: un'esperienza non è semplicemente un insieme di azioni nel mondo umano, nel mondo fisico, ma - come voi ben sapete - è accompagnata da un lavoro assai più importante, forse, dell'azione stessa, che è rappresentato dalle varie emozioni, dai vari pensieri, dai timori, dalle gioie, da tutti quelli che sono i movimenti intimi che ciascuno di voi ha vivendo. Perché questi siano sentiti e intesi, l'uomo non conosce il suo futuro, perché evidentemente, se lo conoscesse, molte esperienze diventerebbero delle ripetizioni, delle azioni in sé prive di tutta quella parte emotiva di pathos a cui prima accennavo. Ecco perché, certe volte, noi non possiamo dire niente: non possiamo né rassicurarvi, né incoraggiarvi. Questa è una di quelle volte, cari: per cui spero che non ce ne vorrete: vi sono delle cose alle quali noi stessi non possiamo trasgredire.
28/05/2013 10:21

ROBERTO E LA STORIA DEL CERCHIO FIRENZE 77 - PARTE 2

Io mi auguro che ciascuno di voi, dentro di sé, trovi la risposta a questo interrogativo: da parte nostra non possiamo che lasciare tranquillo il nostro strumento per un... fino a che non avrà superato questo... momento. Vi sono tante cose sulle quali voi potete riflettere e meditare: noi sempre vi abbiamo detto che veniamo soprattutto non per consolarvi, ma per infondervi la forza di reagire e di affrontare i problemi della vostra vita ”.
Quante volte abbiamo letto questo messaggio, cercando di interpretarne tra le righe il giusto significato! Soppesando tutti gli attimi di sospensione che Dali aveva avuto, dandone a volte un'interpretazione ottimista, a volte scoraggiante!
Nel marzo del 1979 Roberto ebbe la gioia di una bellissima serata di presentazione del libro Oltre l'illusione, - organizzata dalla Casa Editrice - alla libreria Croce di Roma. Andammo a Roma con diversi amici del nostro gruppo: poteva essere una giornata felice per tutti, ma fummo rattristati dal fatto che Roberto non riuscì a salire i gradini del treno. E anche il percorso dall'albergo alla libreria gli costò molta fatica.
La libreria era gremita: gli oratori ufficiali furono il prof. Giulio Cogni, il prof. Leo Magnino, il prof. Vincenzo Nestier, il dott. Alfredo Ferraro che parlarono dei contenuti del libro. Il prof. Emilio Servadio e Mons. Corrado Balducci parlarono dei fenomeni paranormali in genere, anche in risposta alla famosa trasmissione di Piero Angela alla televisione che aveva negato in blocco l'esistenza dei fenomeni.
Ci furono parecchi interventi del pubblico e parecchie domande: Roberto seguiva attento, seduto in fondo alla sala: sempre schivo e modesto, non volle farsi conoscere. La mattina presto ripartì per Firenze con Corrado e altri amici: non si sentiva a suo agio fuori di casa e temeva di limitare i nostri programmi. Io, mio figlio, mia cognata Franca e altri amici ci trattenemmo a Roma fino al pome­riggio: fummo invitati a pranzo dal prof. Amedeo Rotondi, che aveva tenuto a battesimo il nostro primo libro Dai mondi invisibili.
Ci ripromettemmo di ritornare a Roma con Roberto appena fosse guarito: anche a Roma adesso aveva tanti amici che desideravano conoscerlo e che si riunivano spesso nella libreria Rotondi di via Merulana ad ascoltare e commentare le registrazioni delle nostre sedute.
Ma le gambe si facevano sempre più deboli: Roberto si ricoverò allora al reparto neurologico dell'ospedale di Careggi a Firenze, diretto dal prof. Amaducci. Furono eseguite altre serie di analisi, puntura lombare, elettromiografia, elettroencefalogramma, eccetera. Ma non risultò niente: fu fatta una diagnosi di polinevrite.
Altro periodo di speranze in attesa che le numerose cure prescritte avessero un risultato: ma Roberto camminava con sempre maggiore difficoltà e il neurologo di Firenze consigliò di fare una biopsia al nervo della gamba al reparto neurologico dell'ospedale di Verona. Accompagnammo Roberto a Verona e io mi trattenni con lui tutto il tempo della sua degenza all'ospedale. Ricordo con gratitudine le gentilezze del dott. Gastone De Boni, tutte le cortesie che Roberto ebbe in quell'ospedale, le visite de­gli amici di Bologna e di Brescia. Il prof. Rizzuto eseguì la biopsia al nervo, fece altre analisi: tutto negativo. Roberto fu dimesso con diagnosi di polineuropatia e con un certo ottimismo sull'esito della malattia, o almeno cosf a noi parve.
Della sua malattia ciò che lo angustiava di più era do­ver essere di peso ad altri e vedere limitata la sua auto­nomia. Quella sua privacy) che gli aveva permesso di vivere la sua vita normale nonostante lo straordinario fenomeno della sua medianità, veniva intaccata: quella libertà nelle piccole cose - più teorica che reale - di cui sapeva gioire, si riduceva enormemente.
Per quattordici mesi ci riunimmo solo per parlare tra noi e rileggere le lezioni: intanto io e Roberto preparavamo il terzo volume, mettendo insieme certi messaggi del Maestro Claudio che erano sui libri Incontri e Colloqui e che non avevamo messi nei precedenti libri.
Nell'aprile del 1980 ricominciarono - spontaneamente ed estemporaneamente - le trance di Roberto: a volte avvenivano alla presenza di tre o quattro amici, e tutti noi potevamo solo ascoltare le registrazioni. Fu l'inizio di un diverso modo di condurre le sedute.
Nel mese di giugno del 1980 due nuovi amici entrarono a far parte del Cerchio Firenze 77: Francois Broussais e Pietro Cimatti. Il primo era un amico dell'altra dimensione: è l'unica entità di cui si conosce l'identità dell'ultima incarnazione. La sua manifestazione ha veramente del fantastico.
Il 19 giugno 1980 ero andata da Roberto nel primo pomeriggio poiché mi aveva comunicato una cosa straordinaria. Come ho già detto stavamo preparando il nostro terzo libro e avevamo già messo insieme diversi dattiloscritti delle lezioni di Claudio e altri messaggi ricevuti dopo la stesura del libro Oltre l’illusione dando un certo ordine logico agli argomenti e dividendoli per capitoli.
Tutto il fascicolo contenente queste pagine - che praticamente costituivano già tutto il volume - era stato messo sulla scrivania nello studio di Roberto la sera del 18 giugno. La mattina Roberto era andato in ufficio e fino al pomeriggio non si era recato nel suo studio: quando si era seduto alla scrivania per dare un'occhiata al lavoro fatto insieme, aveva trovata cambiata la disposizione di certi capitoli, con piccole correzioni e aggiunte tra le righe con la calligrafia di Dali, a noi ben nota quando si presentava scrivendo e quando aveva corretto - tramite Roberto in trance - i libri curati da Nella Bonora.
Tutto questo non l'abbiamo mai detto, tanto sembra inverosimile: del resto tutta la fenomenologia di questa medianità - pur rientrando nei canoni delle grandi medianità del passato - può sembrare inverosimile a chi non accetta che esistano altre dimensioni oltre quella fisica.
A casa, con Roberto e Corrado, c'erano altri due amici: Giuliana e Fabrizio Manneschi: tutti e cinque ci mettemmo entusiasti ad esaminare le modifiche apportate alla disposizione delle pagine del dattiloscritto, che risultava in-fatti più scorrevole. A un tratto avvertimmo un intenso pro-fumo di violette, fenomeno questo che caratterizzava l'inizio di una trance estemporanea. Roberto si adagiò su una poltrona e noi ci sedemmo intorno a lui: fuori c'era il sole e anche con le serrande calate non riuscimmo a fare il buio completo, perché dai lati della grande finestra a tre vetrate filtrava molta luce. Roberto si fece mettere un foulard sugli occhi, fermato a mo' di benda dietro la testa, perché quando era in trance anche un minimo filo di luce gli faceva arrossare gli occhi. Avevamo preparato il registratore, ma la voce della Guida fisica - Michel -ci pregò di munirci di macchina fotografica. Corrado si staccò dalla catena e andò a prendere quanto richiesto: l'unica macchina fotografica già munita di pellicola era la Polaroid; rientrò nella stanza con la macchina, e Michel lo fece inginocchiare davanti a Roberto con la macchina puntata verso il suo volto. Praticamente Corrado rimaneva in mezzo ad un piccolo cerchio formato da noi in catena:
Roberto però aveva le mani libere, poiché le mani di Giuliana e di Fabrizio che erano ai suoi lati, erano appoggiate alle sue spalle. Avevamo potuto vedere bene ogni cosa perché i nostri occhi, abituati ormai alla penombra, distinguevano bene tutto. Michel ci invitò a stare concentrati e a recitare mentalmente il Padre Nostro. “ Quando te lo dico io, scatta ”, disse rivolto a Corrado. Così fu fatto: all'espulsione del primo cartoncino, Roberto lo prese tra le mani. Alla distanza di pochi secondi l'una dall'altra furono scattate alcune fotografie, con nostra grande meraviglia perché con quella poca luce la Polaroid non avrebbe potuto funzionare senza flash. Poi l'entità annunciò: “ Ora basta: è una serie di fotografie. Solo la quinta è completa. Fatele pure vedere agli amici e agli ospiti, ma non pubblicatele: è Francois! ”.
Roberto si svegliò dalla trance, chiese se c'era stato un messaggio: noi eravamo tesi e ansiosi di vedere cosa era venuto. Raccontammo tutto a Roberto mentre tiravamo su la serranda, prendemmo le foto che la Guida aveva appoggiate sul ripiano di un mobile vicino e guardammo esterrefatti.
Ricordo che quando in alcuni volumi di spiritismo avevo viste riprodotte certe foto medianiche, mi aveva colpi­to e reso dubbiosa quella massa “ tipo cotone idrofilo” che si vedeva intorno alle immagine. Ebbene, avevo davanti a me la stessa cosa, ma io avevo visto come si era pro­dotto questo miracolo, come erano state scattate le foto, come davanti all'obiettivo ci fosse solo il volto di Roberto in penombra con la benda davanti agli occhi, mentre ora avevamo davanti a noi la nitida fotografia di un volto sconosciuto, dai lineamenti marcati, lo sguardo intenso e una folta barba; circondato da una specie di nube di cotone!
Nelle prime fotografie si vede solo l'ectoplasma bianco, con una apertura nel mezzo dalla quale appare, via via sempre più evidente, l'immagine di un volto un po' sfocato. Nella quinta il volto è ben visibile e a fuoco.
In una successiva breve trance, qualche giorno dopo, ci fu chiarito che Francois era un medico occultista all'epoca della rivoluzione francese, ed era stato anche medico dell'Armata di Napoleone.
Da allora Francois iniziò a presentarsi alle nostre sedute, con una voce gradevole e possente, dall'accento lievemente francese. Rispondeva a tutti i nostri interrogativi sulle ultime lezioni di Kempis che erano molto difficili: di tanto in tanto dava qualche notizia riguardante la sua vita passata. Per esempio, disse che era vissuto dieci anni a Udine come Direttore di quell'ospedale quando Napolene dominava l'Italia, che i suoi genitori erano stati uccisi ed altre cose per cui potemmo appurare che si trattava di Francois Broussais, una personalità molto nota in Francia. A Parigi un nostro amico si procurò due biografie di Francois, scritte in francese, nelle quali trovammo conferma di tutte le notizie che Francois ci aveva dato di se stesso.
Dal 1980 Francois è stata l'entità che più di ogni altra si è intrattenuta fra noi: come ho già accennato, l'insegnamento vero e proprio veniva dato circa una volta al mese, con l'intervento o di Kempis, o di Dali, o del Fratello Orientale, o di Claudio: alcune volte si è manifestato anche il Maestro Veneziano, che non si era mai presentato negli anni precedenti. Roberto andava in trance improvvi­samente, alla presenza di due o tre amici che mettevano in funzione il registratore e noi tutti seguivamo l'insegnamento attraverso le registrazioni. Inoltre, ogni sabato sera, Roberto riuniva gli amici in casa sua: si può dire che ora il cerchio fisso - di sette o otto persone - era formato dagli amici più recenti: venivano ammessi però quattro o cinque osservatori, per cercare di soddisfare le richieste di partecipazione che ci giungevano continuamente.
In queste sedute si manifestava sempre Francois. Preannunciato dal profumo di violette, Dali interveniva con un breve saluto, o una esortazione, una preghiera, una benedizione. Ogni tanto, al posto di Dali, interveniva Teresa col profumo di rose e le sue dolci parole d'amore. Quello che non mancava mai era il magico intervento di Michel, con intense luminosità che a volte illuminavano tutto il volto di Roberto e con i suoi misteriosi doni. Tra la metà del 1980 e la fine del 1983 sono stati più di cento gli oggetti apportati!
Anche se l'importanza degli apporti non sta certo nel loro valore intrinseco, è innegabile che desti una certa me­raviglia il fatto che spesso si sia trattato di oggetti in oro e pietre, o altrimenti in argento: bracciali, catenine, monete, spilli, piccole croci, ciondoli vari.
Roberto continuava ad andare in ufficio, ma il pomeriggio era libero e riceveva gli amici e coloro che volevano conoscerlo. La sua malattia, anziché chiuderlo in se stesso, lo aveva reso ancora più disponibile verso gli altri. Prima credeva che alle persone interessasse incontrarlo solo quando era in seduta o che interessassero solo i messaggi delle entità. Ma le persone che riceveva in casa gli dimostravano il loro affetto e gli dichiaravano che per loro era estremamente importante conoscerlo anche come uomo e che dalla conversazione con lui si sentivano rasserenati. Caro, caro Roberto! Venivano a raccontare le loro pene ed egli aveva parole incoraggianti per tutti e non parlava mai delle sue pene.
Poiché il numero delle persone che desideravano entrare in contatto con noi aumentava sempre, dall'aprile del 1980 cominciammo a tenere una riunione pubblica mensile a cui intervenivano anche persone provenienti da fuori Firenze. Era commovente pensare che facevano chilometri e chilometri in treno o in macchina per sentire i messaggi registrati e per avere un dialogo con noi. Roberto era sempre presente, seduto in mezzo agli altri: avrebbe voluto poter invitare tutti insieme ad una seduta; e per tre volte è avvenuto l'incredibile! E andato in trance nella sala pubblica che ci ospitava, e Francois si è manifestato dando chia­rimenti o spiegazioni e rivolgendo parole di affetto a tutti i presenti.
Nel marzo del 1981 presentammo il nostro terzo libro Per un mondo migliore con la prefazione di Pietro Cimatti, che era diventato grande amico di Roberto fin dal loro pri­mo incontro nel giugno del 1980. Erano presenti il caro e compianto amico prof. Giulio Cogni, la dott.ssa Paola Giovetti e, oltre a Pietro Cimatti stesso, il nostro editore Gianni Canonico. Con la pubblicazione di questo libro, altre persone si aggiunsero alla schiera di quelle che desideravano incontrarsi con noi. Furono escogitati diversi espedienti per accontentare il maggior numero possibile di coloro che apprezzavano questo messaggio. Quante volte Pietro Cimatti, nelle sue telefonate delle 23 alla radio, ha rivolto domande a Francois, che, tramite la disponibilità di Roberto in trance, rispondeva con grande saggezza a quesiti esistenziali! Altre volte, gruppi di amici di Torino, di Brescia, di La­mezia Terme, dopo le 22 chiamavano Roberto al telefono e ponevano domande sugli insegnamenti.
Io non credo che altri medium abbiano mai potuto ren­dersi disponibili a tutti come Roberto: e così disinteressatamente, solo per dare gioia e speranza...­
Ormai dal febbraio del 1981 Roberto si muoveva solo con la sedia a rotelle e continuava ad andare in ufficio accompagnato in macchina da Corrado. Veniva nella mia casa di Ceppeto per incontrarsi con la mia mamma che non si dava pace di vederlo così: in quell'occasione ci riunivamo - noi tutti amici più intimi - nella stanza che era stata teatro di meravigliose serate. E ancora speravamo che un giorno tutto potesse ricominciare come prima. Roberto continuava a curarsi, le analisi erano ancora buone e la speranza non ci lasciava.
Nel luglio del 1981 la nostra cara, dolce, adorata mamma ci lascio improvvisamente, senza soffrire. Come mi sembrava vuota la mia casa adesso! Roberto non veniva quasi più perché, sempre più limitato nei movimenti, fuori di casa sua non si sentiva a suo agio. Purtroppo anche Corrado negli ultimi tre anni era peggiorato del suo diabete e diverse volte era andato in coma. Tanti cari amici da tempo avevano cura di loro e non li lasciavano mai soli: vorrei ricordarli tutti ad uno ad uno. Roberto ha dato molto amore, ma ne ha anche ricevuto tanto!
Probabilmente, come ogni essere umano, Roberto è apparso diverso a ognuno di coloro che lo hanno avvicinato, ma ciascuno non può non aver rilevato quel suo profondo rispetto degli altri che era una caratteristica del suo essere. Il miracolo di cui era strumento non cessava mai di stupirlo, ne' l'abituava allo straordinario tanto da fargli accettare tutto senza il vaglio della sua ragione.
Per gli amici che non conoscevano le sue doti medianiche era un sereno compagno che sapeva essere sempre presente con il suo benevolo humor e la sua disponibilità. Rispettoso dei propri impegni a livello sociale, non sfuggiva - nell'ascesi - il suo essere uomo e cittadino, sì che ai colleghi di lavoro risultava un amico capace di assolvere i suoi impegni senza spirito di rivalità né ambizione. Per noi familiari e' stato un punto di riferimento in­sostituibile, una presenza confortante e piacevole che suscitava e irradiava un amore incondizionato: e senza questa presenza tangibile la vita ci appare meno bella!
Durante questi ultimi anni di intensificata attività medianica, abbiamo pubblicato altri due libri: l'uno nel novembre del 1982 dal titolo Le grandi verità l'altro nel novembre del 1983 dal titolo La voce dell'ignoto, corredato da tre cassette con la voci dei sette Istruttori del Cerchio.
Nel volume Le grandi verità ha riscosso un particola­re successo la parte curata dall'amico Pietro Cimatti, in cui egli ha riportato molte domande che i partecipanti al­le sedute hanno rivolto a Francois, ottenendone chiare ed esaurienti risposte. Saputo di questo successo, Roberto ave­va pregato Cimatti di inserire un'altra serie di risposte di Francois nel volume che avrebbe contenuto i messaggi del 1982-1983. Purtroppo, in questo volume lo spazio che dovevamo dedicare a Francois è stato preso dalle note biografiche di Roberto; ma il progetto è solo rimandato.
Il settimo volume del Cerchio, interamente curato da Pietro Cimatti, sarà il libro di Francois con le sue risposte sagge e pazienti a tutte le nostre domande più disparate; risposte che da sole costituiscono un corso “ accelerato ”di verità esoteriche.
Certo, sarà duro abituarci. a fare a meno delle conversazioni con Francois, degli insegnamenti dei Maestri, del­le riunioni con la rassicurante presenza di Roberto, quelle riunioni che credevamo di continuare ancora per tanti anni.
Ora che ripenso a quello che è stato, mi sembra impossibile che non mi sia mai venuto il sospetto che Roberto potesse lasciarci. Io, che non avevo mai prestato molta attenzione agli oroscopi, avevo creduto in quelli che gli affettuosi amici astrologi avevano fatto per lui: tutti concordemente dicevano che Roberto sarebbe guarito. Ma forse tutto questo ottimismo veniva indotto proprio perché non creassimo intorno a Roberto un'atmosfera di tristezza, che lui certamente avrebbe captato. Francois Broussais come medico aveva una sua teoria: il malato, anche quello che può sembrare il più preparato, non deve mai conoscere la gravità della sua malattia.
E le analisi continuavano ad essere buone: tuttavia i medici che lo seguivano avevano capito che stava delineandosi ormai chiaramente quel tipo di sclerosi che non si vede dalle analisi, ma che è inesorabile.
L'ultimo aiuto che ha potuto avere Roberto è stato quello di trapassare così dolcemente prima che il suo fisico sì distruggesse ulteriormente. Non è stato mai un giorno intero a letto: fino all'ultimo ha ricevuto gli amici più intimi seduto nella sua sedia a rotelle, sempre ordinatamente vestito, ché non si e mai permesso di ricevere in pigiama o in vestaglia.
Nell'ultima riunione del 25 febbraio a casa sua, voleva che chiedessimo alle Guide il permesso di riprendere la materializzazione dell'apporto in formazione con la sensibilissima telecamera che Corrado aveva appena comprato: “ Così potrei vedere qualcosa anch'io ”, diceva speranzoso. Ma quel sabato le entità non si sono presentate.
La mattina del 29 febbraio alle 8,40 Corrado lo ha chiamato, meravigliato che dormisse ancora. Era in posizione rilassata, serena, gli occhi chiusi: non si è piu' svegliato fra noi!
Con l'amata voce di Roberto, tante altre voci si sono spente. Addio dolce Dali, volitivo e sapiente Kempis, mistica Teresa, severo Claudio, Fratello Orientale dalla voce musicale, convincente Veneziano, favoloso Michel dai magici doni, gioiosa Lilli, cortese Alan, e tanto tanto gradito amico Francois! Era dolce riunirci per attendervi, ma avremmo rinunciato volentieri alle vostre voci amiche pur di avere Roberto con noi ancora per tanti anni. Ma sano, sereno, pago di avere svolto il suo compito.
Invece tutto insieme si è taciuto. Ora è il silenzio! A tutti gli amici che l'hanno conosciuto rimane il ricordo di Roberto come uomo, sempre disponibile ma riservato, dolce ma fermo nei suoi principi, sorridente ma con un fondo di malinconia nello sguardo, modesto ma pieno di dignità, sincero ma sempre attento a non ferire.
Io ho il ricordo dolcissimo e struggente di un fratello tenero, affettuoso, comprensivo, a cui sono stata profondamente legata prima da un affetto quasi materno, poi dalla comune esperienza e interesse per le vie di conoscenze che la sua medianità ci donava.
Sono conscia del fatto che cento, mille Kempis e Dali e Lilli e Roberto, spunteranno in ogni parte d'Italia: ma non ce ne vogliate, amici spiritisti, se vi diciamo che per noi - stretti congiunti e amici intimi di Roberto - le comunicazioni medianiche hanno assolto il compito per il quale esistono, che è quello di risvegliare il nostro essere interiore. Ora vogliamo andare avanti da soli, con l'immenso bagaglio degli insegnamenti avuti in questi anni e con la certezza che Roberto e tutti gli amici disincarnati sono con noi. Non possiamo pretendere di proseguire un dialogo che era giusto avesse un termine: un dialogo che ci ha profondamente arricchiti e per cui non ringrazieremo mai abbastanza Chi lo ha voluto per noi e chi si e' reso docile strumento per tutta una vita, senza mai chiedere nulla per se stesso.
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